Note: Aka "Beanpole". Presentato in concorso al XXXVII Torino film festival. Viktoria Miroshnichenko e Vasilisa Perelygina hanno vinto il premio ex aequo per la migliore attrice.
Straordinaria opera seconda che radiografa in modo duro, impietoso ma lucido un paese appena uscito dalla guerra. Un
paese in cui traumi e ferite vanno al di là del conflitto, devastando la vita dei protagonisti che sono il simbolo di un'umanità dolente e disperata, vinta ed umiliata ma che cerca pervicacemente, a volte andando oltre ogni ragionevolezza, di attaccarsi alla vita e di far nascere una nuova speranza. Come nel magnifico ed emozionante finale che scalda il cuore e resta nella memoria.
La timida Ija, infermiera congedata dal fronte sovietico in seguito al comparire di una debilitante sindrome psicosomatica, soffoca per errore il figlioletto dell'amica Masha, rimasta sterile: per espiare la colpa tenterà di regalarle un nuovo figlio, sfidando la propria androfobia. Dramma esistenziale di portata (fin troppo?) oceanica quello di Balagov, in una Leningrado sfinita e abbattuta dal devastante conflitto coi tedeschi. Film denso, esigente, nei cui lunghi silenzi si annida il senso di una comunicazione resa ormai impossibile.
MEMORABILE: La morte di Pashka; Baci rubati; Masha e Sasha a tavolo coi genitori di lui.
Due donne reduci dal fronte russo cercano di superare i traumi subiti. Clima postguerra senza prospettive purtroppo fotografato con colori saturi troppo accesi che a volte distolgono l'attenzione. Ben scelte le complementari protagoniste che affrontano lucidamente anche i deliri nel voler diventare madri a tutti i costi. Regia che riesce a inscenare momenti altamente drammatici senza dover usare qualunque musica accompagnatoria. Intenso il finale.
MEMORABILE: Il bambino soffocato; Il rapporto per procreare in tre nel letto; Il lavoro di supporto alle truppe che ha procurato solo aborti.
Una Russia postbellica dai colori insolitamente saturi fa - fortunatamente solo - da sfondo a un drammone dai tempi dilatatissimi, con una tendenza al ricattatorio che sembra provenire dal Von Trier alle soglie del nuovo millennio. Un infanticidio involontario apre le danze a un susseguirsi di sfighe e umiliazioni sessuali e non che si susseguono senza fantasia, di cui si segnalano giusto un paio di eccessi drammatici a un passo dal ridicolo. Messinscena dalle velleità pittoriche, due protagoniste degne di miglior causa, un certo miglioramento nel finale, ma il tedio vince su tutto.
Pezzo di bravura su drammi post bellici ed espedienti di sopravvivenza narrati senza sotterfugi ma senza nemmeno ricorrere alle consuete scene madri. I colpi bassi non mancano ma prendono forme inaspettate. La trama si sviluppa in equilibrio tra afflizione e speranza, seguendo il rapporto angoscioso ma intenso tra Iya e Masha. Rapporto che prende corpo grazie a due attrici la cui messa in scena da parte di Balagov è quasi un dono all'umanità. Non mancano tempi dilatati e silenzi ma sono contenuti e comunque funzionali. Sotto l'aspetto visivo siamo nella migliore tradizione russa.
Conferma intensità e consapevolezza (pure troppa) di Balagov, il quale ci sprofonda nel rosso e nero d'una Leningrado assediata dall'inedia più cupa e da un'atarassia di facciata, dietro la quale imperiosamente emergono uno spettro di sentimenti e ragioni impensabili. A colpire è, in una messinscena "letteraria" parcellizzata, quasi interiorizzata (i set dell'ospedale, della casa popolare, della magione), la pietà, senza commiserazione o languore alcuni, verso ogni personaggio, a partir dalle due simbiotiche protagoniste. Talora (ancora) sterilmente dolente ma di estenuante vigore.
MEMORABILE: Gli sguardi di Masha/Perelygina e i silenzi di Ila/Miroshichenko; Il soffocamento di Pashka; Il confronto tra Masha e la madre/funzionario di Sacha.
La devastata condizione mentale e morale di due donne che hanno subito lo stravolgimento della propria vita durante l'assedio di Leningrado, cercando nell'amicizia e nella protezione reciproca l'unica via di scampo. Un affresco implicito più che esplicito di una realtà martoriata, ridotto quasi solo ad interni, che alludono al soffocamento delle speranze e delle illusioni di Iya e Masha e teatro di eventi al limite dell'atrocità. Grande gusto pittorico che rende più accettabili i lunghi silenzi e la lentezza un po' greve della narrazione. Ammirevole la prova delle due protagoniste.
MEMORABILE: Il soffocamento di Pashka; La pietosa eutanasia per i reduci irrecuperabili; I tentativi di maternità di Iya; Il matrimonio sfumato; L'una per l'altra.
Appena finita la guerra, le ferite si confondono con le necessità di un popolo che da sempre appare allo stremo ma in cui forse c'è ancora posto per una solidale amicizia. Così omosessualità, eutanasia, utero in affitto, paiono tematiche non solo contemporanee, in una Russia che sembra non accorgersi dei cambiamenti in atto. Gli argomenti, sebbene un po' forzati, sono ben incisi in un racconto che non mancherà di interessare. Peccato per le lungaggini narrative e i tempi "morti" che ne appesantiscono la visione. Ottimo il doppiaggio.
A Leningrado, poco dopo la fine dell'assedio, la "spilungona" lavora come inferniera in un ospedale ed è soggetta ad attacchi che le provocano momentanee paralisi. Durante una di queste crisi soffoca il piccolo Pashaka, figlio di un'amica che sta per far ritorno dal fronte... Bellissimo racconto del legame tra due giovani donne segnate nel corpo e nello spirito dalle ferite della guerra, diretto dal regista con uno sguardo lucido alieno dai patetismi ma capace di coinvolgere e commuovere. Sobria la messa in scena in cui predominano gli interni, eccellenti le prove del cast.
MEMORABILE: La morte di Pashka; Il fumo dell'ultima sigaretta; Nel letto in tre; Il vestito verde; Il bacio forzato; Il pranzo dai ricchi genitori di Sasa.
Giallo pallido, arancio scuro, verde; Leningrado millenovecentoquarantacinque, Ija "la giraffa", infermiera, madre surrogata per l'amica Maša, angelo della morte. Vita e morte si sovrappongono, ognuno sembra intersecarsi, sovrapporsi e penetrare il corpo degli altri, in modi diversi, per ragioni diverse, firmando in calce una condanna protratta. Opera che fluisce lentamente come attonita, come stordita, pregna di nichilismo maestoso, dilatata ed esausta di sequenza in sequenza, facendo apparire ogni azione compiuta come l'ultima che potrà apparire ai nostri occhi.
MEMORABILE: Il vestito verde.
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Notevole, non c'è che dire. Due ragazze autrici di prove maiuscole grazie alla mano di Bagalov in una vicenda in continuo equilibrio tra disperazione e sopravvivenza.
Personale dilemma di traduzione del titolo: vi torna il soprannome "giraffa" per la ragazza alta e magra?
Per me era più corretto "spilungona" o "stangona", non mi sembrano dispregiativi... o ci sono altri significati che mi sono perso?
Sì, giraffa ci può stare. Come del resto spilungona. Stangona mi sarebbe piaciuto di meno, ma non credo possa essere considerato dispregiativo.
DiscussionePaulaster • 14/07/20 00:09 Controllo di gestione - 99 interventi
Capannelle ebbe a dire:
Notevole, non c'è che dire. Due ragazze autrici di prove maiuscole grazie alla mano di Bagalov in una vicenda in continuo equilibrio tra disperazione e sopravvivenza.
Personale dilemma di traduzione del titolo: vi torna il soprannome "giraffa" per la ragazza alta e magra?
Per me era più corretto "spilungona" o "stangona", non mi sembrano dispregiativi... o ci sono altri significati che mi sono perso?
Cercando nei siti sembra che la traduzione letteraria sia "spilungona" ma nel film viene usato "giraffa", termine più diretto tenuto conto anche dei tempi.