Note: E' il secondo dei "Six contes moraux", sei film aventi tutti la stessa struttura (innamoramento per una donna; tentazione per un'altra; ritorno alla prima).
il 2° è anche il meno tipico dei Contes: Bertrand, innamorato di Sophie (nella maniera fredda e cerebrale dei protagonisti dei contes) non sbanda per Suzanne: la frequenta; la sfrutta economicamente, sia pur a rimorchio dell'amico Guillaume; la disprezza. Dal canto suo Suzanne è l'unica "altra donna" del ciclo che esce francamente vincente dalla vicenda: molla i due amici deficienti, probabilmente frega anche i soldi a Bertrand e si prepara a sposare uno bello e ricco, mentre Bertrand si appresta a perdere l'anno di università e pure Sophie.
Il triangolo descritto in questa opera vede cambiare, a seconda del momento, l'angolo centrale o sarebbe meglio dire l'angolo forte. Suzanne è usata, sì, da entrambi i ragazzi. Uno più infame e perfido, l'altro sicuramente meno cattivo ma pur sempre assecondante le manie di Guillame. E, come spesso accade nella vita, Suzanne saprà prendersi la sua vendetta, forse senza neppure accorgersi della reale portata della stessa. Fatto che la rende ancora più gustosa per noi terzi osservatori.
Secondo racconto morale di Rohmer, leggermente inferiore a quello precedente. La struttura è sempre quella del "triangolo" amoroso (anche se qui quasi un quadrilatero) ma con qualche variazione. Infatti Suzanne non è propriamente contesa dai due amici ma più semplicemente sfruttata. Da uno con fredda lucidità, dall'altro più per accondiscendenza verso l'amico che per reale calcolo. La vicenda ha un'impennata finale quando Suzanne, per caso o per calcolo, si prenderà la sua rivincita.
Un quadrilatero d’amore-amicizia, d’attrazione-repulsione, superficialità-intelligenza. Sono i rapporti interpersonali visti da Rohmer, che guarda i suoi personaggi guardando anche alla società dell’epoca, giovani che si arrabbiavano, si innamoravano e poi si alienavano rinchiudendosi nell’indifferenza e nel cinismo. Ma forse la speranza è l’ultima a morire e rimanere se stessi paga sempre e comunque. Anche contestualizzando, rimane un ritratto all’acqua di rose, imbrigliato in un distaccatissimo e un po' compiaciuto rigore formale. Piuttosto noioso.
Paragonabile per conformità al precedente La fornaia di Monceau, può opportunamente considerarsi un prototipo di "cinema verità" crudo, forte di un peculiare pessimismo adolescenziale. Il giovane Rohmer affronta l'intreccio generale, quest'ultimo di natura lineare, sottraendo lo spettatore da qualsivoglia forma di immedesimazione e optando, al contempo, per il dilatamento degli spazi dedicati ai dialoghi e alla recitazione degli attori non professionisti, contravvenendo il più delle volte alle regole del campo-controcampo.
La giovane Suzanne è alle prese con una coppia di studenti molto diversi tra loro: Guillaume, che diventa il suo ragazzo, è un seduttore spaccone e poco rispettoso, Bertrand è invece introverso e indeciso. Rohmer descrive le dinamiche dei rapporti giovanili con uno sguardo fresco e attento, anche se lo sviluppo di questo secondo capitolo dei "contes moraux" si rivela poco avvincente.
Susanne è una giovane fra giovani in cerca di un posto al sole e soprattutto di se stessa. Sembra innamorata di un farabutto ma poi frequenta il migliore amico di lui forse per non rinunciarvi. Chi lo sa… L’amore tra studenti è il percorso verso una ben altra laurea, nella quale le logiche sono prive di coordinate. Rohmer continua a raccontare le giovani generazioni, sapendo molto bene come farlo e renderlo cinematograficamente.
Suzanne è una ragazza innamorata di un farabutto e per questo arriva a frequentare il suo migliore amico, pur di non perdere i contatti con lui. Prove tecniche amorose fra studenti universitari che sembrano più impegnati a conseguire un altro tipo di “laurea”, ben più complesso. Rohmer, con la sua consueta capacità descrittiva, sa come riportare anche stavolta sulla scena le eterne schermaglie sentimentali che contraddistinguono ogni giovane generazione.
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