La repressione dei ribelli nell'Ungheria post 1868, non conosce la parola pietà: tutti i metodi vengono considerati leciti. Fulminante e stupefacente film in cui Jancsò mostra una grande maestria registica che si dispiega attraverso una messa
in scena sobria, scarna, quasi rarefatta ma di grande impatto visivo ed emotivo. Così come notevolmente impattante è la sceneggiatura che sa mantenere alta la tensione grazie ad una escalation drammatica che regala molti momenti che restano nella memoria, raggiungendo il climax nel beffardo e crudele epilogo. Urge il recupero.
Un gruppo di persone, rinchiuso in una fortezza persa nel nulla, viene sottoposto dalle guardie ad ogni genere di pressioni al fine di individuare fra i prigionieri quali sono i capi dell'insurrezione appena repressa... Pur ispirandosi ad eventi storici, Jancso prosciuga il racconto sia narrativamente con il ricorso all'ellissi che visivamente con una messa in scena stilizzata di grande rigore formale. Ne emerge un un apologo spietato sul potere e sulla manipolazione con cui opera, valido in ogni epoca e a tutte le latitudini, culminante in un epilogo beffardo. Capolavoro.
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CuriositàDaniela • 30/08/19 23:41 Gran Burattinaio - 5930 interventi
Il film è il primo di una trilogia che comprende Silenzio e grido (1968) e L'armata a cavallo (1968), questi ultimi ambientati nel 1919.
L'ambientazione del film del 1966 è invece l'Ungheria sotto la dominazione austriaca subito dopo la repressione dei moti nazionalisti del 1868, quando gruppi di patrioti del risorgimento magiaro erano passati al brigantaggio sotto la guida di Sándor Rosza.