Un uomo che sta scontando una pena per avere ucciso la moglie, ottiene un permesso di alcuni giorni da trascorrere a casa per convincere il figlio (giovane promessa del basket) a giocare nella squadra universitaria appoggiata dal governatore dello stato. Film dal tema sportivo in cui il basket diventa una metafora dei rapporti tra le persone, in quanto veicolo di comunicazione tra le diverse generazioni. Il film è portatore, attraverso dialoghi molto incisivi e diretti, di un forte messaggio morale. Bella l'intepretazione dei protagonisti.
Ragazzo nero con padre in galera e fratello a carico cerca di far successo sfondando nel mondo del basket. Il talento c'è ma la vera forza è proprio quel padre amato-odiato che si rivela il suo più grande aiuto. Originale versione cestistica del classico tema del self-made man. Spike Lee parla di quel mondo del basket professionistico a lui caro e lo dipinge in maniera spietata facendo trasparire una critica all' intera società americana. Pillole di morale e bella colonna sonora dei FatBoy Slim.
MEMORABILE: "Lo sai cosa sta facendo Michael Jordan in questo momento? Si sta allenando!"
Film dalle forti tinte morali. Spike Lee (grande amante di basket e tifoso dei New York Knicks) ci regala un bellissimo film sul significato dello sport e sulla sua importanza per superare gli innumerevoli ostacoli dell'esistenza. Ottime le prove di Washington e di un debuttante Ray Allen. Quest'ultimo gioca tuttora nella Nba nei Boston Celtics. Il film scatenò numerose critiche della comunità afroamericana per la scena di sesso fra Washington e la Jovovich. Ottima la colonna sonora.
Idolatrarne uno per sfruttarne cento (mila). Jesus è il Messia del basket con un futuro da stella NBA. Attorno a lui già volano in cerchio gli avvoltoi di un sistema in cui gli atleti (neri) sono solo macchine da soldi. Un politico ricatta il padre uxoricida detenuto perché influenzi il figlio. Anche questo Jesus viene tradito tre volte. Pronti via: campetti di ogni genere, giocatori di ogni genere. La religione pagana del basket raccontata senza quasi filmare il gioco. Spike got game, pur con qualche scivolata. E il finale è magicamente perfetto.
MEMORABILE: L'ultimo tiro del padre e del figlio, l'ultima inquadratura sul luna park deserto di Coney Island.
In pieno periodo d'oro del basket Nba, Spike Lee gira un film che in qualche modo mette in luce i pregi e difetti di questo sport (e di tutti quelli in cui girano molti soldi): riscatto sociale, rivincita personale ma anche sfruttamento e deumanizzazione degli atleti. La storia è ricca di simbolismi: il protagonista si chiama Jesus, viene considerato il Messia del quartiere ma appena diventa famoso viene tradito un po' da tutti e alla fine sarà anche costretto a sacrificarsi per il bene degli altri. Ottima regia e attori. Da vedere.
MEMORABILE: La fantastica introduzione, straordinariamente poetica, da far impazzire chiunque abbia amato e praticato questo sport.
Lo sport del basket serve a Spike Lee per attestare una maturazione interiore – il lento recupero del rapporto tra un figlio e il padre uxoricida – e per gettare un altro attento sguardo alla società dei neri, manipolabili dalle lusinghe del successo e della ricchezza facile promesse dal sogno americano “bianco” di cui anch’essi sono resi partecipi. L’incisiva messa in scena si corona del virtuosismo di un intenso excipit metaforico in raffinata veste fantasy, mentre la prova del giovane Ray Allen, rancoroso e confuso, si colloca a pari merito accanto a quella del veterano Denzel Washington.
MEMORABILE: Big Time mette in guardia Jesus dai pericoli del successo; le lettere della madre; i duri allenamenti di Jesus con il padre.
Spike Lee dirige una dichiarazione d’amore verso il suo sport preferito e vira lo stile nel romanzato classico. Poco incisivo e altresì pieno di buoni sentimenti, lascia solo un accenno delle manovre bieche che muovono gli interessi economici legati al basket. Didascalico, con spruzzate stereotipate, sommerso da musica emozionale e con finale al limite del melenso.
Esageratamente forzato per ottenere effetti emotivi, forzato nel descrivere l'importanza dello sport (e della competitività) nelle università americane e i vari retroscena che ne conseguono. Il personaggio del padre è caratterialmente molto altalenante, poco congrua la vicenda dell'uxoricidio su cui si basa l'intero rapporto con il figlio. Visivamente piacevole, riprese colorate e romantiche sui campi di gioco periferici. Valida la denuncia (involontaria?) sul sistema politico ad personam che invade tutti i settori, manipolando regole e leggi.
Se c’è un film che più di tutti ha saputo raccontare il meraviglioso gioco del basket innestandovi sudore, fatica e sacrificio nonché le tragiche conseguenze (nel bene e nel male) e le possibilità di redenzione della vita, questo è proprio "He got game". Virtuoso nelle luci sature, nel montaggio e nei dialoghi e i monologhi claustrofobici, quanto introspettivo nel delineare un dramma personale e parallelo fatto di promesse e pressioni. Un duro percorso di crescita, accettazione e perdono dal sapore sublimemente poetico e melanconico. Spesso.
MEMORABILE: L’intro; Lo sproloquio di Big Time; Padre e figlio al campetto; La prova del grande Ray Allen.
Il cinema di Spike Lee è come un grande mosaico di sensazioni, intuizioni, critiche e indignazione sociale che riesce anche nel peggiore dei casi a far riflettere. Pur non sfiorando nemmeno di striscio il capolavoro, la storia di un galeotto che tenta di riavvicinare il figlio per avere uno sconto di pena dà modo a Lee di riflettere come sempre sui rapporti umani e razziali e la metafora del basket come strumento di redenzione e trampolino per scappare da una vita derelitta funziona. In parte tutto il cast con in testa un sempre ottimo Denzel.
MEMORABILE: La partita di basket finale tra padre e figlio.
Buona interpretazione di Denzel Washington nei panni di un padre di famiglia che sta scontando una condanna per omicidio preterintenzionale ai danni della moglie. Il film, incentrato sul mondo della pallacanestro vista sopratutto come metafora della vita, si concentra sul rapporto tra padre e figlio (Ray Allen, vero cestista nella realtà, qui giovane promessa del basket) e sul tentativo del primo di "salvare il salvabile". Riuscita la gestione dei flashback, buone le scene di allenamento. Forse si protrae un po' troppo, ma è un film riuscito.
MEMORABILE: Lo scontro finale tra padre e figlio, al solito campetto.
Attingendo a mani basse da temi già toccati nella cinematografia (sport, famiglia, prigione), Lee costruisce oggettivamente un buon film che però soffre, secondo il mio senso estetico e logico, di una serie di salti che disorientano un po'. Questa frantumazione della forma tende a rallentare la costruzione narrativa e il timing (a posteriori avrei gradito anche una sforbiciata). Washington grande garanzia, ma il giovane figliolo Allen non è da meno, dimostrando, se volesse, di potersi ritagliare un nuovo mestiere.
Il basket, sport americano per eccellenza, rappresenta una delle maggiori possibilità di riscatto per i neri. Quindi non stupisce che Lee abbia deciso di girare questo vibrante film sportivo lievemente penalizzato da un eccesso di sentimentalismo. Quasi una summa personale con i ricordi d’infanzia stile Crooklyn, la prostituta che fugge dalla città come lo spacciatore di Clockers gli ultimi giorni prima di rientrare in prigione e la donna che forse ha tradito, in anticipo sulla 25a ora. Numerose le apparizioni di veri allenatori e giocatori.
MEMORABILE: Il flashback sulla morte della madre; La decisione finale; Il siparietto sexy con le due famose ex-pornodive Jill Kelly e Chasey Lain.
Il dodicesimo film di Spike Lee questa volta si incentra su una grande passione del regista: il basket (è tifoso dei New York Knicks). Jack è in carcere per uxoricidio e avrà uno sconto di pena se riuscirà a convincere il figlio (che oramai lo disconosce) ad iscriversi in una determinata università. Il film scorre bene, nonostante le due ore e dieci. Washington è ormai una garanzia come attore, ma anche gli altri non sono da meno. Il pregio è che nulla appare scontato, in questa pellicola che cattura e sa essere poetica. Merita di sicuro una visione.
MEMORABILE: Gli allenamenti di Jesus bambino; La sfida tra padre e figlio.
Pieno fino al midollo di una morale a cui è impossibile credere per la palese ruffianeria con cui ci viene spiattellata in faccia. Due ore e venti indigeste in cui Lee vuol far credere di essere un ribelle che va contro il sistema, senza accorgersi di essere egli stesso parte integrante di quel sistema. A tratti sembra di vedere un videoclip, tanto è patinato. Invadente, pedante e fuori luogo la colonna sonora, che rispecchia soltanto le ambizioni (mancate) del regista. Una trappola a cui prestare attenzione.
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Il protagonista del film, Ray Allen, è stato uno dei migliori giocatori del basket universitario USA ed è oggi una superstar del campionato professionistico dell'NBA,titolare dei Boston Celtics dopo aver giocato per molti anni ai Milwaukee Bucks.
I compagni di squadra di Jesus al Liceo Lincoln, tranne il cugino Booger, sono tutti giocatori NBA, ossia Walter McCarthy, Travis Best e John Wallace (questi ultimi due visti anche in Italia a fine carriera).
Tarabas ebbe a dire: I compagni di squadra di Jesus al Liceo Lincoln, tranne il cugino Booger, sono tutti giocatori NBA, ossia Walter McCarthy, Travis Best e John Wallace (questi ultimi due visti anche in Italia a fine carriera). Ma si potrebbe saoere Tarabas per quale squadra Nba fai il tifo..Non dirmi per i Lakers..
HomevideoRocchiola • 7/11/18 09:03 Call center Davinotti - 1318 interventi
Io ho il DVD Touchstone-Buena Vista che risulta ancora reperibile a prezzi davvero popolari intorno ai 6-7 euro. Un buon prodotto SD con video nel corretto formato anamorfico 1.85 pulito e dalla buona definizione. L’audio dolby digital 2.0 è buono. Non ancora uscito in bluray nemmeno sul mercato internazionale. Uno Spike Lee da recuperare ritenuto a torto minore ed un pò troppo mainstream.