Aguirre secondo Saura.
Magniloquente e intenso viaggio nell'inferno verde e nel cuore di tenebra della foresta amazzonica alla ricerca della leggenda e del mito dell' El Dorado, che sfocia in ambizioni sanguinarie, in lotte fraticide, in sterminii di massa e in follia.
Saura riprende il personaggio di Aguirre, e intinge questo suo kolossal in una natura inospitale e mostruosa alla stregua delle opere herzoghiane e boormaniane , dove la cieca bramosia del potere e della conquista porta solo solitudine, distruzione e morte.
Cospirazioni, delitti, eccidi, e tradimenti in puro stile shakespeariano (viene in mente il
Macbeth di Polanski) , una natura contro dalle mille insidie (i soldati spagnoli che si addentrano nelle disagevoli paludi silenziose, uccisi dalle silenti freccette degli indios, che si nascondono tra gli alberi, come nei cannibal movie deodatiani), femmine infide e complottistiche (la Ines della Roel), fino a squarci onirici/incubotici che sembrano usciti dai momenti più visionari di
Excalibur (la Sastre tra le paludi inseguita dai due soldati e l'incontro con il padre).
Saura non rinuncia a momenti di crudeltà e di violenza grafica (lo sgozzamento, i cadaveri martoriati, la fucilazione tramite archibugi, frecce e lance che perforaro corpi, pugnalate a tradimento, la capanna con gli indios morti accatastati uno sopra l'altro) e non manca nemmeno la tribù di cannibali con macabri altarini (che sembra più
Green inferno che nemmeno
Cannibal Holocaust, con il cannibale completamente impazzito con pappagallo sulla spalla).
Foreste impenetrabili, estenuanti percorsi sul fiume che non portano da nessuna parte, la fame, la pazzia che divora la mente di Aguirre (un Antonutti in completo stato di grazia), e l'insostenibile massacro dei cavalli (degna di un truce mondo movie) per poi cibarsene.
Immagini di grande bellezza (l'incipit con l'indigeno che copre d'oro il corpo del suo re), impreziositi dalla suggestiva fotografia di Teo Escamilla, dove risalta il talento visivo dell'autore di
Cria CuervosCinema sanguigno quello di Saura, che si dipana tra omosessualità (nella figura del "principe" di Poncella), pulsioni incestuose (la figlia meticcia di Antonutti) e donne manipolatrici, fino al sangue versato solo per la sete di potere e di conquista, rinnegando la Spagna e , di conseguenza, il suo Re.
A volte scade nel tronfio e nell'enfatico, ma la narrazione sauriana è possente e poderosa, con gran cura per costumi, location e ricostruzione storica.
Di culto la sequenza del prete che mostra Gesù in croce al cannibale, cercando, inutilmente, di indottrinarlo alla religione cristiana, o la prima "invasione" nel villaggio degli indios, con la dimostrazione della resa pacifica deponendo le armi.
La versione italiana è palesemente monca di alcuni passaggi (il film in origine dura 149 minuti contro i '120), come l'incontro tra Ines e Elvira, l'accennata attrazione tra Aguirre e Ines e altri raccordi narrativi (stacchi di montaggio bruschi che, a volte, spezzano pure i dialoghi), probabilmente scelta della nostra distribuzione (la Academy) per snellire il film.
Coprodotto dalla
Sacis in collaborazione con
Raiuno.
Non esente da una certa "pesantezza", ma di grande fascino visivo e pervaso da un'atmosfera opprimente e soffocante, dove la natura incontaminata e irta di pericoli regna incontrastata, contrapposta alla crudeltà e alla irragionevolezza dell'uomo bianco di sostituirsi a dio, con il risultato di perdere del tutto la ragione nell'immensità dell'inferno verde.
Nelle nomitation per la Palma d'oro al Festival di Cannes del 1988.
Da confrontare con
1492-La conquista del paradiso.