Ancora un film sulla moderna gioventù bruciata di Roma, descritta con tocco neorealista questa volta da un Calvagna che spinge sul pedale dell'improvvisazione (come riportato nel cartello iniziale) e sceglie come protagonisti attori non professionisti cui riesce bene di restituire un credibile ritratto dei ragazzi di strada di oggi. In apertura, di fronte al Calvagna attore che ritaglia per sé il ruolo dello psichiatra al carcere di Rebibbia, c'è Giorgetto (Lelli), cui viene chiesto di raccontare cosa l'abbia spinto ad agire come ancora non sappiamo. Da qui i ricordi si fanno storia e inquadrano fin da subito i protagonisti della baby gang al centro del film, giovani che vivono perlopiù di espedienti,...Leggi tutto piccolo spaccio e di certo, ad esempio, non arretrano di fronte all'offerta di una truffa con le carte di credito. Giorgetto lavora come cameriere in una trattoria e sarà lui, nel caso specifico, a dover passare le carte in una macchinetta in grado di clonarle all'istante. Ma è solo uno dei diversi campi in cui i nostri esercitano la loro piccola attività criminale, mescolata a un cameratismo che si traduce in un inevitabile profluvio di volgarità (d'altronde in un'operazione simile sarebbe stato ridicolo frenarne l'uso) stemperate da quel particolare humour tutto romano che permette talvolta a chi guarda di sorridere. Non certo finezze british, ma scambi di battute e paradossi elementari che accompagnati al canzonatorio dialetto romanesco il loro effetto dissacrante lo ottengono, riuscendo a trasformare alcune scene in grevi ma spassosi intermezzi che lasciano intuire come comunque una regia precisa esista. E non solo in questo senso il lavoro di Calvagna si avverte: la padronanza della macchina da presa con gli anni si è affinata, la fluidità nei movimenti e la precisa scelta nelle inquadrature non è affatto da semplice mestierante. Pur non trovando (né ricercando) l'estetizzante maniera di un Caligari o di un Sollima, il regista conferma di avere dalla sua uno stile, fortemente ravvisabile nella scelta di un impatto diretto, senza fronzoli, che cede semmai in efficacia, in alcuni frangenti: la vera violenza, quella che qualcuno poteva aspettarsi da un titolo simile, sembra infatti rimanere fuori campo, benché com'è ovvio qualche rissa non manchi e saltino fuori pistole e coltelli. Non si percepisce se non a tratti la cieca furia selvaggia, anarchica, che anima spesso individui simili. E questo nonostante la spontanea e convincente recitazione di tutto il cast maschile (dominante), giovani che potendo interpretare sostanzialmente se stessi azzeccano non solo nelle figure dei due protagonisti (il secondo è l'amico fraterno di Giorgetto) il registro giusto; meno bene va alle ragazze, per forza di cose più trattenute e qui estranee alla recitazione da perfette coatte in stile Pastorelli. Alcune passeranno all'essere ingaggiate come baby prostitute sottopagate, ma sembrano sempre al di fuori dei giochi. Ottimo apporto dalle musiche di Mauro Paoluzzi e finale coll'immancabile Califano di "Tutto il resto è noia". Ci si limita forse troppo a raccontare il quotidiano senza trovare una vera direzione nella quale convergere gli sforzi, ma è una volta di più stimabile l'ostinazione con cui Calvagna prosegue a raccontare con grande onestà la sua Roma lontano dai big budget delle major.
Neorealismo ai giorni nostri e fotografia della piccola ma tragica delinquenza romana di periferia. L'opera di Stefano Calvagna si può annoverare tra la sue più riuscite, in quanto riesce nell'intento di narrare storie di vita e malavita perfino con un non disprezzabile filo di leggerezza. Il ricorso a estemporanei attori non è certo una novità; visto però il contesto e la convincente resa degli stessi - con libertà d'espressione - si può parlare di una scelta assai felice. Film dalla formula certamente non inedita ma di sicuro interesse.
Tralasciando il grossolanamente irriverente riferimento a Pasolini (si prenderebbero davvero lucciole per lanterne), il tentativo cronachistico di Calvagna di scandagliare ciò che c'è sotto la suburra romana ha una sua dignitosa coerenza. E se troppe volte il pressapochismo interpretativo e la orizzontalità narrativa lasciano esterrefatti, in alcuni frangenti la "normalizzazione" di situazioni che siamo abituati a veder enfatizzate in fiction o chiacchiere da pomeriggi tv, riproduca invece più fedelmente di quanto immaginiamo il vuoto pneumatico di una gioventù riarsa.
MEMORABILE: Il volto truce e sprezzante di Claudio Vanni.
Stefano Calvagna HA DIRETTO ANCHE...
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