Greymouser • 26/04/10 23:24
Call center Davinotti - 561 interventiQuando ho saputo dell'uscita di questo film ho avuto una reazione ambivalente: da un lato ho apprezzato a priori l'idea di Amenabar di girare un biopic su un personaggio per me di culto come Ipazia di Alessandria (per miei studi ed interessi personali); dall'altro lato temevo che potesse rivelarsi la solita operazione superficiale, e quindi una profonda delusione. Ho cercato quindi di guardarlo senza aspettative particolari, e devo dire che il lavoro del regista mi ha sorpreso positivamente (a mente fredda, forse gli darei ancora un mezzo pallino in più rispetto al commento). Ha trattato la materia cominciando col fornire una ricostruzione storica abbastanza credibile (non del tutto ma abbastanza) dell'Alessandria del V secolo, crocevia di culture e tradizioni di centralità mondiale, prima di essere affossata, dopo l'editto di Teodosio, in un plumbeo clima di fanatismo ed integralismo ad opera soprattutto della violenta fazione (tutt'altro che cristiana) del vescovo Cirillo, che trovò il modo di perseguitare e sterminare, senza differenze e in tempi diversi, pagani ed ebrei per affermare il suo potere monocratico sulla città.
E' in questo scenario che si colloca la vicenda di Ipazia (o Hypatia), figlia del matematico Teone, una delle pochissime donne-filosofo della storia del pensiero occidentale. Ella, considerata nel suo ambiente più sapiente di qualsiasi uomo, si cimentava sia nelle scienze come matematica ed astronomia, sia nella filosofia; ed è un vero peccato - considerando le lodi sul suo operato provenienti perfino da teologi cristiani successivi - che le sue opere siano andate completamente perdute.
Ipazia fu vittima di un complesso di fattori ideologici, politici e religiosi che le furono fatali: giochi di potere nello scontro fra il vescovo Cirillo e il prefetto Oreste (molto vicino alla filosofa); l'ondata di integralismo bigotto e misogino, di cui era alfiere lo stesso vescovo Cirillo, che investì l'ambiente alessandrino dopo l'affermazione totale del cristianesimo e la proibizione dei culti pagani, che colpì Ipazia in quanto donna e soprattutto donna che si poneva con assoluta libertà e indipendenza sullo stesso piano degli uomini; il dogmatismo ideologico che seppellì la libertà e laicità di pensiero di cui Ipazia era vessillifera. Accusandola pubblicamente di empietà e stregoneria, Cirillo scatenò contro di lei l'odio delle frange più estreme di fondamentalisti, i cosiddetti monaci parabolani (che non a caso fa rima con Talebani), i quali la sorpresero per strada e praticamente la linciarono seviziandola e massacrandola (la sua fine nel film è più poetica, ma purtroppo non andò così).
Come gli stessi titoli di coda del film chiosano con implicito sarcasmo, il vescovo Cirillo, campione di intolleranza e istigatore di odio e violenza, fu poi consacrato a santo e dottore della Chiesa.
Amenabar racconta tutto questo con qualche comprensibile licenza narrativa, e forse caricando troppo nel bene e nel male alcune figure, ma nel complesso centra l'obiettivo di realizzare uno spaccato sufficientemente corretto e coinvolgente sulla figura di Ipazia (che era anche bella oltre che sapiente, come ci dicono le fonti, e questo fu per lei un ulteriore elemento di avversione e condanna. E' bravo, il regista, anche nel rappresentare con realismo e gradualità un ambiente che si deteriora e si sgretola progressivamente sotto l'ondata di odio e di fanatismo che monta e che travolge una raffinata civiltà millenaria.
La tesi suggerita nel film che Ipazia avesse alla fine scoperto il moto ellittico dei pianeti intorno al sole, e la relatività del moto, è chiaramente una suggestione registica, poichè non vi è alcuna prova documentale di questa eventualità, mentre è certo che condusse importanti ricerche sulle curve matematiche e sul comportamento fisico dei liquidi. Come filosofa, successe al padre come maestra della scuola di Alessandria, e probabilmente portò avanti un pensiero di tipo neoplatonico, ispirato a Plotino di Licopoli.
In effetti, al di là di quello che effettivamente Ipazia potè realizzare, la sua figura si è posta accanto a quella di un Socrate o di un Giordano Bruno come martire e simbolo universale e illuministico della libertà e dell'indipendenza del sapere. Amenabar è riuscito a cogliere bene questo aspetto, e nello stesso tempo a non cadere nella trappola dell'agiografia e dell'idealizzazione, rendendoci un personaggio interamente umano, con le sue fragilità e le sue debolezze, che fanno risaltare maggiormente il suo coraggio.
Spero che questi miei giudizi non siano vergognosamente soggettivi, magari indotti e condizionati da un tema che mi appassionava a priori. Per questo spero di poter leggere altre valutazioni su questo film, che magari forniscano un punto di vista diverso dal mio.
Scarlett
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