Blasfemo, grotteso e incantato: il lavoro di Jodorowsky trasuda arte visiva in un contesto di opprimente malvagità. Protagonista assoluta e regina nera è Asia Argento, alle prese con l'ennesimo lavoro naif. Un corto surrealista, appendice, se vogliamo, de Il fantasma dell'opera (anche qui la Argento è una cantante lirica). Una tappa pregevole nella carriera dell'attrice, fuori da ogni schema tradizionale. Ottimo copione, realizzazione tecnica e in particolare scenografica degna di nota.
Degno figlio di cotanto padre (autore del racconto qui trasformato in film), Jodorowski crea un’affascinante composizione che da un lato ricorda il clima surreal-visionar-simbolista-panico degli anni 60 e dall’altro riflette una sensibilità queer moderna, con notevole risultato. Un corto visivamente magnifico e ricco di folgorazioni post-barocche, che trasforma la grottesca vicenda dei furti di voce per la cantante afona in un viaggio onirico e post-esoterico di autoironica iniziazione esistenziale. Torbidamente chimerico.
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Appare con una semplice comparsata l'attrice feticcio di Ozpetek Serra Yilmaz, che qui fa la comunione ingerendo un diamante al posto dell'ostia consacrata: