Chi si avvicinasse a questo strano oggetto non identificato dalle sembianze horror ma che pare più il filmato di qualcuno che ha lasciato per errore la telecamera accesa in casa per spostarla di quando in quando, avrebbe il diritto di sapere che ciò a cui va incontro non è esattamente qualcosa di facilmente godibile a cuor leggero. Tra le righe ci si può anche rinvenire un'idea interessante, un progetto warholiano in cui la fissità si fa arte, ma quando si assiste per un'ora e mezza a infissi segati da inquadrature sbilenche, buio immerso in una invadente grana artificiale stile vecchie pellicole malridotte, primi piani su blocchetti di costruzioni per bambini,...Leggi tutto immagini di cartoni animati di un tempo remoto con relative musichette, luci che d'improvviso illuminano scorci di camerette vuote, lampade, prese di corrente... la sensazione dell'operazione un po' tanto furbetta che vellica il pelo dell'appassionato alla ricerca della nuova misteriosa opera underground da celebrare insieme al suo gruppo di adepti non è semplice da scacciare.
Che il film possa indisporre, insomma, è un dato di fatto; che però contenga in sé un fascino oscuro che sa colpire - in virtù del suo coraggioso appropinquarsi obliquo a quell'originalità che in fondo tutti ricercano ogni giorno di più in un cinema omologato e tanto più in un genere che tende a sfornare film nati in catena di montaggio - è altrettanto riscontrabile.
La sensazione di straniamento che SKINAMARINK genera fin dalle prime scene colpisce indubbiamente: Kevin è tornato a casa, accompagnato dal padre, dopo un incidente dovuto alle sue crisi di sonnambulismo, ma noi gli vediamo i piedi, le gambe, mezzo busto, residui anatomici smozzicati di un corpo che come gli altri compone un elemento estraneo all'immagine, almeno quanto lo sono quelli di cui ascoltiamo voci che ci fanno la grazia di una parola ogni cinque minuti quando va bene. Insieme a lui la sorella Kaylee; con loro impalpabili spettri che si nascondono tra le pareti di una casa la cui forma mai si percepisce: ne scorgiamo fugacemente gli arredi, gli spigoli, alcuni scorci tra i meno significanti che si possano immaginare, con la televisione del piano di sotto, dove i due andranno, che si fa luce primaria restituendo Betty Boop e altri eroi di una preistoria in bianco e nero che contribuisce ad accompagnarci ulteriormente fuori dal tempo.
La sostanza di quanto accade tra i lunghi intervalli di niente è costituita da frasi sibilline (dei fratellini e di un'entità), con improvvisi rigurgiti horror che materializzano corpi un attimo dopo svaniti, tracce di fantastico ingenuo che con effetti primitivi muovono oggetti e altri ne fanno sparire e ricomparire in un cupo carnevale semimuto. Sappiamo bene da cosa nasce tutto: video nati da incubi suggeriti dai commentatori del canale YouTube del regista, Kyle Edward Ball. Il risultato non poteva che essere un incubo al cubo, coerente nella sua negazione dinamica, nella scelta delle inquadrature e nel suo inseguire uno stile che diventa l'involucro incollante di un patchwork d'idee abbozzate il cui compito è quello di nascondersi e spalmarsi quasi invisibili lungo l'ora e quaranta di durata, fino a un epilogo assolutamente consequenziale all'illeggibilità del resto. Armarsi di pazienza, di caffè, di voglia e di passione... magari vi va bene!
Al limite dello sperimentale, uno studio sul linguaggio dell'horror magari pure curioso, ma alla lunga insostenibile. 100 minuti di piani fissi domestici dal sapore quasi sokuroviano, sempre tra buio pesto e penombra, con un po' di grana vintage, senza nessun personaggio realmente visibile (eccetto rarissime eccezioni), dal soggetto impalpabile e con una manciata di dialoghi sussurrati ovviamente incapaci di creare curiosità o interesse. Sfiancante, ma non si esclude che tale linguaggio cupo e minimalista, al servizio di una vera trama, possa dare dei risultati interessanti.
Nessuna fabula, solo sollecitazioni percettive e filtri che simulano la grana analogica, per cento estenuanti minuti di macerie digitali in cui smarrirsi assieme ai due fratellini in una notte oscura e senza stelle. È vero che la sperimentazione e l'artificio stanno sempre davanti all'emozione, ma non c'è ostentazione e la ricerca del perturbante, volta a risvegliare nell'inconscio - a visione ultimata - terrori infantili che pensavamo risolti, è assidua, sincera ed efficace.
Le cose sono due: o si gioisce dell’immersiva e ipnotica resa audiovisiva o si rifiuta per mancanza di una narrativa identificabile. Quel che è certo è che l’opera prima di Kyle Edward Ball è una piccola bomba dell’orrore. Orrore rappresentato come un anonimo abitante domestico, onirico e sepolcrale, capace di generare con un solo fotogramma una tensione gravida di sapiente, primitiva paura.
Il regista si è ispirato a uno degli incubi più ricorrenti tra quelli condivisi dagli utenti del suo canale Youtube. E in effetti, vedendolo, in alcuni flash si rivive questo sogno infantile di essere soli di notte, senza genitori, nella propria casa che diventa altra e inquietante. Su questa suggestione Ball costruisce un film esperienza, forse insoddisfacente sia come opera sperimentale che come horror, ma che non lascia indifferenti e che tocca certi intimi e nascosti timori, pur nella sua narrazione senza scossoni veri e propri.
Dal momento che circa l'ottanta percento delle riprese consta di inquadrature fisse su muri e soffitti a bassa risoluzione, l'espressione "divertente come guardare la vernice che si asciuga" non verrebbe usata a sproposito. Benché sia chiara l'anima sperimentale dell'opera, così come il tentativo dell'autore di materializzare sullo schermo quell'ancestrale paura del buio con cui un po' tutti hanno dovuto fare i conti da bambini, quando gli unici momenti validi di un horror sono quattro jumpscare piazzati randomicamente nell'arco di cento minuti, l'aggettivo "riuscito" non è di casa.
MEMORABILE: Il gabinetto che scompare e riappare; La bambina senza bocca e senza occhi, effettivamente terrificante; La telefonata al 911; Il telefono sorridente.
Operazione stranissima che vuol tentare di rivitalizzare in modo alternativo uno dei filoni horror più vecchi del mondo, quello del babau domestico. Oltre novanta minuti fatti di sole immagini sgranate e sbilenche, mai un'inquadratura precisa, l'ascolto sollecitato più della vista; si tratta di autorialità o di presa per i fondelli? Pur riconoscendo che l'atmosfera (vagamente simile a una degenerazione di un corto di Joe Dante) sia sinistra e certi momenti (troppo pochi) producano tensione, una simile scelta registica è assai rischiosa e può facilmente infastidire lo spettatore.
MEMORABILE: La sequenza nella cantina; Il telefono giocattolo; Un volto sconosciuto si intravede nelle tenebre.
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