Madre e figlia si reincontrano dopo qualche anno in una casa sperduta in mezzo alla natura norvegese. Il complesso rapporto di amore-odio tra le due giungerà ad un punto di svolta, pur senza accadimenti drammatici di sorta. Quest'opera, che segnò il rientro di Bergman in patria dopo qualche anno di "esilio fiscale", tocca temi molto cari al cineasta svedese, tanto da aver fatto parlare molta critica di "maniera", e probabilmente non a torto. Comunque interessante, nella sua vivida rappresentazione dell'incomunicabilità tra genitori e figli.
Opera decisamente bergmaniana, Sinfonia d'autunno presenta una struttura teatrale, il cui elemento principale è il rapporto conflittuale tra una madre che ha sacrificato la propria famiglia alla carriera e una figlia particolarmente complessata. Pur toccando temi importanti per il grande regista svedese (il principale tra tutti è l'incomunicabilità) il film si presenta a tratti piuttosto "forzato" e manieristico sopratutto nella parte di contorno al nucleo centrale della storia. Ottime le interpretazioni del cast.
Una madre va a trovare la figlia che non vede da sette anni: l'incontro tra le due si trasformerà in una lunga seduta psicanalitica durante la quale esploderanno odi e rancori sopiti per tanto tempo. Radiografia familiare (più precisamente sul rapporto madre-figlia) firmata da Bergman che si dimostra eccellente e sopraffino cesellatore di dialoghi. Semplicemente grandi la Ulman e la Bergman. Bella la fotografia del fotografo di fiducia dello svedese.
Sembra quasi idilliaco, all'inizio, il ritrovarsi di Eve e della madre Charlotte, tranquillo come il bel paesaggio che fa da sfondo alla loro casa di campagna. Ma, a poco a poco, le apparenze si sgretolano, osservazioni, sguardi, gesti apparentemente casuali ci fanno capire che le due donne sono impegnate in una triste gara per dimostrare chi è la migliore. La sorella malata, al piano di sopra, non può parlare. ma neppure Eve e Charlotte ci riescono: con le parole si graffiano a sangue, ma non arrivano al cuore. Classico dell'incomunicabilità.
Una celebre pianista anaffetiva ed egotista rivede la figlia dopo sette anni. L'incontro diventa occasione per una cruda resa dei conti nel rapporto tra le due donne, in cui vengono alla luce vecchi rancori e incomprensioni. Tipico film "alla Bergman" dove l'incomunicabilità toglie qualunque speranza di salvezza. Interpretazioni della Bergmann e Ullman senza commento.
Bergman ha la fantastica capacità di donare leggerezza a un film verboso e impegnato, così come la massaia riesce a fare una sfoglia sottilissima attorno a una torta di riso. Madre e figlio cercano di esaminare il loro rapporto fatto di incomprensioni e di scelte di vita differenti. Nonostante il linguaggio forbito e intellettuale lo scontro è feroce e a tutto campo. Non c'è quasi mai un vero e proprio incontro perché le distanze invece che accorciarsi si dilatano ulteriormente. Una sinfonia in modo maggiore voce dell'anima che si fa essenza.
Un crudele dramma familiare in grado di penetrare fin dentro le ossa e raggelarle per il realismo con cui viene rappresentato. Bergman lo priva di ogni orpello cinematografico dilatando il più possibile l’essenza del film stesso. Due donne, madre e figlia, si mettono a nudo in un lancinante confronto parentale per cercare di abbattere il muro che le ha impedito di essere vicine. Puro distillato bergmaniano dentro il quale chiunque si può specchiare ritrovando brandelli della propria esistenza, di figlio o genitore.
MEMORABILE: Helena distesa per terra, chiama la madre, incapace di sentirla.
Dopo sette anni madre pianista torna a far visita alla figlia. Il confronto tra la madre snaturata e la figlia problematica viene elaborato da Bergman con tutto il suo rigore, sia stilistico che emozionale. La Bergman parte spocchiosa e finisce invecchiata, la Ullmann sembra in preda alle visioni ma viene mantenuto un profilo laico (e disturbato): entrambe danno buone interpretazioni che solo nella parte centrale eccedono (nella resa dei conti). La scelta di inquadrare non da vicino fa apprezzare di più i flashback giovanili.
MEMORABILE: La Ullmann che guarda la Bergman suonare il piano; La camera dei giochi del figlio annegato; La figlia malata che chiama la madre.
Come sapeva entrare nella psicologia dei personaggi Ingmar Bergman forse non è riuscito quasi nessuno nel mondo del cinema. Il suo film è l'ennesimo pezzo di bravura, entra a fondo nelle pieghe di un pessimo rapporto tra madre e figlia e ne analizza i problemi, le speranze e le grandi delusioni con grandissima profondità. Straordinarie le due protagoniste, con Ingrid Bergman capace di un'interpretazione emozionante. Come in tutti i film del regista svedese, il ritmo è piuttosto lento e compassato, anche perché tutto si gioca sui dialoghi. Ma siamo di fronte a un grande film.
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DiscussioneRaremirko • 7/07/20 21:37 Call center Davinotti - 3863 interventi
Mi ha fatto un pò tornare alla mente Family life di Loach (uscito 7 anni prima) questo Bergman dove recita un'altra grande Bergman, anche perchè ne condivide il senso opprimente di una famiglia che può contare si su personaggi che si amano tra loto, ma dove purtroppo però ne succedono di ogni.
Notevoli prove recitative ed ottima la fotografia; non un Bergman che innova (ins itli e temi) ma comunque un dramma nel vero senso della parola, dove un lieto fine non toglie comunque peso alle emozioni negative dei 90 minuti precedenti.