Decine di donne occidentali in un lager giapponese durante la guerra: sofferenze e torture, incomprensioni e amicizie, e l'idea di un coro a bocca chiusa come sfida alla violenza. Fatto negli anni 50/60 sarebbe stato un gran bel film; alle soglie del 2000 suona ovvio e scontato, con una sceneggiatura che ricalca tutto ciò che ci si aspetterebbe da un'opera sulla prigionia e sui nemici cattivi. Non è fatto male, intendiamoci, ma sembra più un compitino ben realizzato che qualcosa capace di dare emozione. Ottima l'interpretazione di Glenn Close.
Deludente e non poco. Gli ingredienti per avere un prodotto più che discreto c'erano tutti: un cast attoriale di tutto rispetto per riproporre su grande schermo una storia (vera) di forte impatto drammatico (la prigionia, durante la Seconda Guerra Mondiale, a Sumatra, di un gruppo di donne in mano ai giapponesi). Invece fin dalle prime immagini si ha la sensazione che il regista non riesca a farci vivere il dramma dei personaggi, per cui si osserva il tutto senza la minima partecipazione emotiva. Confezione decente, ma nulla di più.
Durante la seconda guerra mondiale, un gruppo di donne occidentali viene internato in un campo di prigionia giapponese. Paradise road è tratto da un libro autobiografico. Il regista Beresford dirige la storia con diligenza e mestiere adoperando un gruppo di ottime attrici ma non riesce mai a trasmettere emozioni in un film che rimane eccessivamente freddo (nonostante il tema trattato) e privo di pathos.
Potere della musica e dell'arte in genere, si potrebbe dire. La svolta che più rimane impressa, superando anche le sofferenze delle donne prigioniere (che pure sono l'aspetto che determina tutti i rapporti donne verso donne, donne verso aguzzini), è quella del coro senza parole (che supera tutte le barriere linguistiche). I duri soldati si sciolgono inaspettatamente di fronte alla bravura e composta dignità delle coraggiose prigioniere. Film piuttosto ordinato, forse troppo, che trova piccoli guizzi nelle prestazioni delle ottime attrici.
MEMORABILE: Il "taglio" della testa di Cate Blanchett.
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