La storia (vera) di un processo per diffamazione intentato da un negazionista nei confronti di una scrittrice che lo accusava di "essere un mentitore". Fan da contrappunto alle emozioni e alla rabbia dell'imputato le strategie processuali dei suoi difensori. Particolare è la scelta di mostrare il punto punto di vista del giurista: far emergere la verità da prove materiali e non tanto dai racconti dei sopravvissuti, facilmente confutabili da una difesa agguerrita. Rigoroso, solido, senza concessioni a sentimentalismi di comodo.
MEMORABILE: I momenti in cui la protagonista appare spiazzata dalle scelte dei propri stessi difensori.
Il film mostra a quale tipo di sofismi processuali e a quali strategie di difesa si è dovuti ricorrere per rintuzzare le tesi negazioniste di un tipo come David Irving (interpretato da un Timothy Spall veramente in parte) nelle vesti di accusatore, per diffamazione, verso la scrittrice Deborah Lipstadt e la casa editrice Penguin Books. Storia vera dove, almeno nel film, si lascia intuire che, se le scelte difensive fossero state altre, il risultato del processo avrebbe potuto anche ribaltarsi. Il film si regge sulle buone prove attoriali.
Racconto abbastanza solido e scevro da ogni drammatizzazione come lo fu la strategia del collegio difensivo della Lipstadt, anche se personalmente qualcosa del processo o della storia di Irving lo avrei approfondito volentieri. Perché alla fine ti rimane impresso Spall invece che una Weisz che non sembrava potesse offrire molto di più e vorresti vederlo ancora in azione per capire quanto Irving ci fosse o ci facesse, in questa mossa giudiziaria più grande di lui.
Ad un certo punto la protagonista, una studiosa costretta a difendersi dall'accusa di diffamazione intentata da un collega che nega la realtà storica dell'Olocausto, accenna a Kafka. Ed in effetti, risulta arduo comprendere la necessità di ricorrere ad una strategia processuale puntigliosa ma anche tanto prudente ed "omissiva" rispetto alle sofferenze di vittime e sopravvissuti, per cui, anche se l'esito del giudizio finale è positivo, l'impressione dominante resta quella dello sconcerto. Regia diligente che molto punta sul cast: convincono Wilkinson e soprattutto Spall, meno Weisz.
Tratto da una storia vera, sconta il fatto di raccontare una vicenda importante ma che appare scontata (io non conoscevo il fatto e non sapevo come finisse il film ma ho immaginato già tutto prima); non c'è quasi mai la sensazione che "i nostri eroi" possano crollare. Ritmo un po' troppo blando nella parte centrale. Attori e cast molto in gamba (per me il migliore non è Spall ma Wilkinson). In ogni caso abbastanza emozionante il finale.
Questa volta si parte dall'antitesi ma l'obiettivo è sempre lo stesso: ricordare l'Olocausto. E se per farlo bisogna tirar fuori addirittura David Irving e la vicenda giudiziaria che lo vide contrapposto alla Lipstad come al solito va bene lo stesso. La qualità del film è innegabile. Wilkinson e Spall sono davvero molto bravi, ma il tanfo di operazione politica purtroppo, molto spesso, annebbia anche l'ottima regia di Jackson e tutto il resto. Stranamente è proprio la Weisz la parte debole dell'impianto.
Buona pellicola, tratta da avvenimenti realmente accaduti, che riesce a interessare lo spettatore, pur se l'esito finale del processo è ampiamente prevedibile anche da chi non conosca i fatti. In un'epoca in cui il revisionismo storico è assai praticato, è sempre bene ricordare che certe cose accaddero davvero, e questo è uno dei meriti del film. Wilkinson e Spall giganteggiano nel ritrarre i loro personaggi, oscurando così la - pur positiva - prova della Weisz. La regia e la realizzazione tecnica sono di buon livello.
Il voto al film è una media tra la scarsa incisività di una storia vera, ma non così attrattiva, una sceneggiatura piuttosto stereotipata e la solita grande prova attoriale di Wilkinson, questa volta nel ruolo dell'avvocato d'aula di un processo per diffamazione. Dall'esito scontato, anche perché la controparte, il negazionista dell'olocausto nazista, dispone di argomenti inconsistenti e la scelta di Spell per interpretarlo, complice anche il doppiaggio, non aiuta certo ad alimentare l'aura thrilling che forse era nelle intenzioni del regista. Tutto sommato potabile, ma nulla più.
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DiscussioneRaremirko • 6/07/21 20:35 Call center Davinotti - 3863 interventi
L'olocausto al cinema è praticamente una garanzia di riuscita, almeno artistica; ottimi attori, pathos, regia sicura (Jackson è più o meno a suo agio in più generi) e uno script robusto a sua volta basato su di un libro.
Molto molto buono.