Francia, fine Ottocento. Dimesso frettolosamente dal manicomio dove era stato rinchiuso dopo un tentato omicidio, un ex soldato anarchico con manie religiose vagabonda per il paese, commettendo atroci delitti. Un giudice carrierista lo indurrà a confessare fingendosi suo amico. Un film solido, finemente sarcastico verso l'ipocrisia borghese ben rappresentata da Noiret, mentre si finisce per compatire il matto Galabru nel ruolo migliore della carriera. Cede solo nel finale, con il "riscatto" poco credibile da parte del personaggio della Huppert.
MEMORABILE: La madre del giudice che legge imperturbabile l'elenco degli scempi compiuti sulle vittime, scandalizzandosi solo per una certa circostanza.
Tra gli strapiombati spazi alpestri e a perdita d’occhio dell’Ardeche, nel sud di una Francia borghesotta, cattolicissima e ipocritamente pia, si consumano crisi mistiche, infanticidi, cacce all’uomo e un sinusoidale rapporto tra chi non vede altra legge all’infuori di quella dell’umana ratio e chi magnifica solo quella irrazionale e imponderabile del divino e dell’animalità. Contrassegnato da magistrali interpretazioni al limite del nevrastenico e dell’enfasi caricaturale (con un Galabru meritevole ogni possibile premio), il bisnonno di Totmacher disvela un Tavernier al suo registico zenith.
Un uomo molto disturbato, per di più con due pallottole in testa per un fallito suicidio, vaga dal nord al sud della Francia, uccidendo giovani vittime e proclamandosi giustiziere e "anarchico di Dio"; un giudice che vuol fare carriera sfrutta subdolamente la sua posizione per farlo condannare. Al di là del fatto di cronaca, Tavernier riesce a farci intuire (anche dagli "sproloqui" di Bouvier) il tragico clima politico-sociale di fine '800 tra bigottismo e antisemitismo, tra la Comune di Parigi e l'affare Dreyfus, nonché a gettare uno sguardo sulle condizioni delle classi subalterne.
MEMORABILE: Il fallimento del tentato omicidio e suicidio; Le mire del giudice; La vicenda di Bouvier nella ballata del cantastorie; La grande prova di Galabru.
Sullo sfondo di un contesto storico impeccabilmente ricostruito, in cui le idee socialiste iniziano a serpeggiare turbando l'ipocrisia della bigotta società borghese, Tavernier mette abilmente a confronto un serial killer ante litteram, che nella sua follia mescola misticismo e idee anarchiche e un giudice ambizioso e privo di scrupoli: i crimini sono esecrabili, ma la giustizia tutt'altro che giusta. Se la prova di Noiret è ottima, quella di Galabru è la migliore di tutta una carriera; accanto a loro un mellifluo Brialy e la volitiva Huppert. Buone le musiche di Philippe Sarde.
MEMORABILE: L'impassibilità della madre di Noiret nel leggere le descrizioni dei delitti; Il finale, forse propagandistico ma emozionante.
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Direttamente dall'archivio privato di Buiomega71, il flanetto di Tv Sorrisi e Canzoni della Prima Visione Tv (sabato 21 luglio 1984) di Il giudice e l'assassino: