16/7/07: Risi e Monicelli a Milano
17 Luglio 2007

Prova, peraltro, il nostro a invitare un eventualmente gradito Zender, compagno di internettiane avventure, ma il suddetto farfuglia qualcosa a proposito di aperitivi, bar Bianchi, notti bianche e che altro. Poiché talvolta anche il più stoico degli eroi può cedere alle tentazioni mondane, lo Xamini getta la spugna con malcelata rassegnazione e si prepara a incontrare i due maestri.
Eh già, perché questa volta l'assessore alla cultura Sgarbi (supportato dal critico del Corriere Porro) ha preparato una serata con i fiocchi: La Bella Estate del Cinema va in scena in tre appuntamenti, rispettivamente il 12, il 16 e il 18 di Luglio e vede l'omaggio ai maestri Monicelli e Risi come momento centrale della kermesse, cronologicamente e semanticamente (nell'opinione di chi scrive).
Lo Xamini si presenta dunque armato di taccuino e macchina fotografica d'ordinanza al cinema Apollo con la bellezza di un'ora e mezza di ritardo sull'orario previsto per l'inizio. Colpa del Davinotti.com, dirà successivamente ai conviviali, sottolineando il suo odio viscerale per un certo Puppigallo e per i suoi stramaledettissimi pdf.
Il primo dei due documentari, “Mario Monicelli, l'artigiano di Viareggio”, resta completamente perduto, ma uno stupendo “Una bella vacanza, buon compleanno Dino Risi” risolleva rapidamente l'umore del nostro.
Oltre a essere realizzato con taglio preciso e gran dovizia di particolari, è arricchito da una serie di distici dell'autore davvero notevoli e non manca di catturarne appieno lo spirito, strappando in continuazione risate al pubblico.
È dunque una sincera ovazione quella che incornicia la sua conclusione e che l'assessore Sgarbi, sopraggiunto nel mentre, scambia per saluto, salutando a sua volta il pubblico gioioso.

Ma è proprio l'assessore ad aprire le danze, facendo gli onori di casa; il suo splendido esercizio di ars retorica (sottolineato poi dallo stesso Risi), scivola tra citazioni dal parentado, Wilde e Whitman, ma rimane sospeso tra il prosaico e il prosopopeico e in somma sintesi sta a comunicare un concetto sostanziale: un conto sono le opere, un conto sono gli autori/artisti; costoro sarebbero unici, memoria storica del secolo appena trascorsi. La preziosità del momento è tale da farlo infervorare come già accaduto in occasioni televisive e per ben più futili ragioni; Sgarbi si rifiuta di iniziare sino a quando i suoi collaboratori non lo rassicurano circa la registrazione di ogni più piccolo sospiro su quel palco. Arriva l'ok e il momento è storico. Il pubblico si chiede rumoreggiando se questa sia davvero la serata di Monicelli e Risi se non piuttosto un evento dedicato all'istrionico critico d'arte, il quale per un quarto d'ora buono non accenna a tacere.
Finalmente il monologo ha fine e il microfono è ceduto a Porro, il quale dà il via alla girandola di domande; nel riportare le stesse e le relative risposte, lo Xamini, pessimo stenografo, non si prende la briga di assumersi alcuna responsabilità, travolto com'è da una serie spaventosa di omissis o di incorrettezze. L'intenzione, peraltro, è quella di lasciar assaporare al privilegiato pubblico de il Davinotti.com una pur sbiadita parte del sapore della serata.
“Come mai, oggi, con l'abbondanza di figure da grande schermo, non si riesce più a raccontare ciò che succede intorno?” - il Porro, come riconoscerà in seguito, ha una pessima opinione dell'attuale cinema italiano.
Risponde Monicelli: “Era un'altra società, nata da una guerra perduta, da una dittatura caduta malamente. Il cinema era una cosa nuova. Noi abbiamo imparato e successivamente applicato. Era una generazione che voleva ricostruire, una generazione felice. Era una società attiva, frenetica, vivissima. C'era anche molta solidarietà ed erano tutti poveri; non c'era competizione in senso negativo. Il benessere che nell'arco di 10/12 anni ha portato al boom è stato paradossalmente la rovina dell'Italia. Ha portato una classe dirigente brutta e corrotta.”
L'intervento di Monicelli si chiude prima che si finisca tutti in galera e viene chiesto a Risi che ne pensi di quanto detto.
Il pubblico scoppia a ridere e lo stesso Sgarbi sorride.
Risi continua e rincara: “Io non posso essere villano come tu sei, volentieri. Poi ho sentito Porro. Io odio i critici cinematografici.”
La sala ride come rideva davanti al documentario dedicato alla sua vita.
Lui continua: “C'è un critico italiano che di qualche mio film ha detto 'meglio una pennichella'; una volta mi ha anche detto 'c'è di peggio'; io gli ho risposto 'leggo ogni tanto le tue critiche, ma c'è di meglio'”.
La sala è tutta per lui; Monicelli si mantiene nel suo timido silenzio.
“Porro non sembrava un critico; il mio collega (Monicelli ndr) parla da uomo che ama il cinema prima ancora che da cineasta. Io, da piccolo, sono andato a vedere una comica di Charlot e mi sono detto 'va' che bel modo di raccontare'; altro che la letteratura: un libro è faticoso.
A Monicelli voglio bene (lui credo non abbia grande stima in me).”
La sala continua a ridere, quel vecchietto dai capelli bianchi, giunto sul palco sorretto da due fanciulle, è dinamite pura.
“Io sono invidioso di lui; soprattutto perché Monicelli ha 600 anni ma una salute di ferro. Io invece sono arrivato sul palco sorretto da due belle ragazze; fingevo di non riuscire a camminare...”
Sembra di vedere uno dei suoi film; c'è ironia sopra all'amarezza, amarezza sopra all'ironia, ora prevale l'una ora prevale l'altra, ma procedono sempre a braccetto.
“La vera ragione per cui ho fatto cinema è perché con il cinema si scopano le ragazze. Mi dava un senso di libertà. Non sopporto i miei colleghi, quelli che parlano troppo di cose di cui la gente non frega niente. La gente vuole vedere una bella storia che gli dia qualcosa e uscire soddisfatta.”
Parla di filato, ma si concede qualche pausa per prendere il fiato; pause che conferiscono alle sue innate doti da intrattenitore un certo qual senso del dramma.
“Orson Welles, in una sala gremita di gente, disse una volta: 'mi dispiace vedere così tanto di me e così poco di voi'. Io, se non avessi paura di cascare... (e fa il gesto dell'inchino ndr). Vorrei solo che le ragazze fossero qui vicino... Dopo questa cosa, avrete due sale tra cui scegliere: una con un mio film e un'altra con un film di Monicelli, un film politico, ma divertente. Monicelli ha fatto molti film belli, io molti film brutti, come dicevano i critici... Ora hanno cambiato idea. Questo perché è successa una cosa; ci sono stati i francesi, un popolo di cretini che fa molto lavoro di testa per sembrare intelligente.”

“Il cinema è fatto di opinioni. Porro ha una pagina sul Corriere piena di voti; è una cosa terribile (il riferimento al Davinotti è chiaro; ma per pudore il nome del Maestro viene evitato ndr).
Quando sono arrivato qui, ho sentito la “strizza” che avevo da piccolo. Ricordo un episodio alle elementari. Il professore mi doveva interrogare sulla caduta dell'Impero Romano; io ero fortissimo sulle Guerre Puniche, ma dell'Impero Romano non sapevo nulla. Per fortuna il professore stava flirtando con una sua collega, mentre mi interrogava. Così riuscii a parlare delle Guerre Puniche senza problemi. Alla fine mi chiese: 'ma cosa ti avevo chiesto?'. 'Le Guerre Puniche, professore'. Ma per lui la serata con la collega andò molto bene.”
È lui il mattatore, grande amico di Gassman, di cui certo ha condiviso lo spirito.
“Io vorrei non essere qua. Mi annoiano molto queste cose. Adesso farete domande; spero non le farete a me. Fatele a Monicelli e a Sgarbi. Sgarbi mi piace molto, anche se è un mascalzone.”
Lo prendono in giro; Sgarbi specifica che non è un apprezzamento di natura sessuale.
Ci pensa Risi a mettere un po' di gelo: “Oggi se non parli di omosessualità non fai carriera politica. Io credo che tra poco ci sarà un movimento in favore dei pedofili. E poi toccherà ai cinofili. Sì, ci sarà anche il momento di quelli che fanno l'amore con i cani.”
Ma l'epiteto non è sfuggito a Sgarbi, che ha un momento di esaltazione, ricordandogli di averlo udito anche durante il documentario, riferito a Mastroianni. Il pubblico, davanti all'irriverente paragone, prorompe con un sonoro “OOOOOOOOOOOH”.
E Risi: “Lui era un mascalzone nella vita; tu in tutto. Ricordo un aneddoto di Mastroianni; una volta stava a un tavolo con 5 premi Nobel e pensava 'che noiosi'. È facilissimo prendere il Nobel, si è visto con certi italiani. Bene, a quel tavolo c'era anche il suo autista personale e li stava facendo morire dal ridere; allora lui gli fa 'ma che gli dici per farli ridere?'. E l'autista: 'gli racconto delle donne che ti sei scopato'. Scusatemi, ma non sono buono a raccontare cose. Nel cinema me la cavo, ma in società no. Quando ci sono più di 3 persone fingo di capire quel che dicono; com'è quel detto inglese, '2 è compagnia e 3 è folla'. Io non vado in vacanza perché ho paura di incontrare i romani.
Ma non sono cattivi, dai; anche Porro è romano, non ne posso parlar male.”
Il suo è un fiume in piena, difficile fermarlo.
“Non andavo mai a vedere i miei film; pensavo sempre 'questo lo potevo fare meglio'. Le attrici non mi piacevano, salvo due o tre.
Una volta Catherine Deneuve mi si avvicina e mi dice 'cosa sto pensando in questo momento?'. 'Lo domandi a me? Pensa a fare il tuo lavoro'.”
Mentre le risate scrosciano, Porro si fa largo e la butta lì: “Cosa ti piace di Monicelli?”
Risi: “Mah, 4 o 5 film. I soliti ignoti, quello di stasera. Monicelli è uno che fa ridere senza voler far ridere, come i grandi comici.”
Monicelli: “Lui (Risi) ha fatto i film più precisi della Commedia Italiana. C'è quel film con Walter Chiari, Giovedì... (si rivolge a lui ndr). Tu hai fatto l'assistente di Carmine Gallone durante il Fascismo? Il film storico è quello che ti fa imparare a fare film. Poi le storie che raccontiamo arrivano dalla vita vissuta. Gli sceneggiatori erano tutti ex giornalisti con non volevano fare cinema; ma erano nati per creare racconti da cinema. Si passavano battute, scartate da altri film. Oggi non ci sono più produttori e deve intervenire lo Stato.”
“Nel dopoguerra il cinema tirava; negli anni '50/'60 i film costavano 30/40 milioni e ne guadagnavano 800. All'epoca l'unico svago per il tempo libero era il cinema. Io, per 10 anni, ho visto solo cinema muto. E nella sala il pubblico partecipava, applaudiva, parlava, inveiva, piangeva. I film muti erano i meno muti della storia del cinema.”
[ALLARME, QUI SI RIVELA IL FINALE STORICO DEL SORPASSO]
Interviene ancora Porro, rivolto a Risi: “È vero che ti sei giocato sulla meteorologia il finale de Il sorpasso?”
Risi è ben felice di rispondere: “Ho fatto un film che terminava con una tragedia; Cecchi Gori era terrorizzato all'idea di quel finale; l'ultimo giorno abbiamo girato la scena a Calafuria.
Cecchi Gori mi ripeteva: 'non fa ridere nessuno. Ma falli finire su una strada con un clacson; non ci deve essere la morte in un film comico'. Mi disse: 'facciamo così; se domani piove, torniamo a Roma e non facciamo morire nessuno'. Io telefonai a quello là, quello del tempo, come si chiamava...?"
È il pubblico, che segue ormai con partecipazione, quasi fosse un momento di cabaret, a rispondere: "Bernacca".
"Ecco, Bernacca. Mi rispose: 'non posso cambiare le previsioni, ma le garantisco che domani ci sarà il Sole'. E andò bene, fu una splendida giornata.”
[CESSATO ALLARME]
Le risate questa volta toccano il culmine e Risi è costretto a interrompersi più a lungo; quando riprende non ricorda più cosa stava dicendo.
“Non ho memoria; pensate che un giorno ho trovato una scarpa nel frigo e ci ho pensato su diverse settimane: come poteva essere finita lì?
Alla prima del Sorpasso...”
Gli cade un foglio e Sgarbi glielo raccoglie e glielo porge; “lascialo giù” e lo getta a terra. Altre risate.
“Era una serata piena di donne vestite bene, uomini eleganti... un'ora e mezza senza una risata. Alla fine Cecchi Gori mi disse: 'Tu torni a fare il medico e io a dirigere i night'.
La seconda sera erano in 50 ma si divertirono tutti. La terza sera non si riusciva a entrare. La sera precedente avevano dato Anima Nera (di Rossellini ndr); una rottura di palle incredibile.”
Qualcuno gli ricorda che anche in Anima Nera c'è Gassman, così come in qualche film di Monicelli.
“Gassman ne I soliti ignoti non era neanche tanto bravo; aveva ancora il vizio teatrale di esagerare.
Ha imparato tutto da Tognazzi ed è diventato quasi più bravo di lui.”
Interviene Monicelli: “Fui io a volere Gassman, per quel film.”
Risi: “Però gli hai cambiato la faccia.”
Monicelli: “Sì, altrimenti non me lo facevano fare. Volevano Sordi.
Gassman era genovese e faceva un po' di tutto.”
Sgarbi, ogni tanto, piazza la sua domandina: “Quando comincia la fine del cinema vostro?”
Monicelli parte con l'intento di rispondere alla domanda, poi affronta un altro tema: “Nei miei film c'è sempre la morte, anzi ci deve sempre essere. Un umorista ci sguazza; se vede un funerale è contento.”
Sgarbi: “Amici miei è il film che prediligo.”
Monicelli: “La cosa che aveva funzionato in quel film era la presenza di un dottore, un giornalista, un professionista, gente adulta, che faceva delle “zingarate”. Ma le vicende raccontate nel film erano tutte leggende metropolitane.”
Risi: “Sì, la storia degli schiaffi al treno l'avevo sentita anche io e l'avevo messa in Poveri Ma belli, ma lui l'ha realizzata meglio.”
Monicelli: “Queste erano leggende che si raccontavano a Firenze e in Toscana.
Germi aveva avuto l'idea di raccoglierle tutte e voleva ambientare il film a Bologna, una città molto godereccia. Ma stava male e mi passò il film; iniziai le riprese il giorno in cui morì. L'idea era sua ma non fece in tempo a partecipare alla stesura della sceneggiatura. All'epoca gli sceneggiatori erano prima di tutto grandi lettori; il cinema italiano ha rubato tutto alla Letteratura, non ha inventato niente.”
Sgarbi, vivo e attivo, ricorda una sua chiacchierata con Gore Vidal, a proposito dell'importanza della sceneggiatura: “Gore Vidal sostiene che il Cinema è sceneggiatura; per me è prima di tutto immagine.”
Risi: “Anche Hitchcock diceva lo stesso.”
Monicelli: “È una cosa che si deve contemperare.”
Sgarbi: “Ad esempio, il Gattopardo fatto da Visconti... poteva farlo qualcun altro?”
Monicelli: “Giannini...”
Risi: “Sarebbe costato la metà; anzi, la decima parte. Visconti ha quasi mandato per stracci i produttori. Voleva che nei cassetti chiusi ci fossero coperte di lino di fiandra. E tutti i giorni delle rose che costavamo come i miei film.”
Monicelli, tornando su altri autori: “Germi era conosciuto perché socialdemocratico. Germi era combattivo, a Risi non gliene fregava niente.”
Sgarbi: “Damiano Damiani?”
Monicelli: “Bravo a mettere in scena.”
Una voce dal pubblico: “Moretti?”
Monicelli: “Fatelo dire a Porro...”
E a Porro tocca invece ricordare che il tempo stringe e il pubblico è chiamato a una scelta dolorosa: Una vita difficile di Risi o I compagni di Monicelli?
Lo Xamini e compagni ci pensano su mentre si appropinquano al palco, pronti a rubare qualche istantanea. Ma i maestri sono un po' stanchi e così il buon Arde può dare sfogo alla sua venatura iconoclasta solo con il povero assessore, che gli si accosta ridendo: “Uei, pirlone, questa è l'unica cosa bella che hai fatto nella tua vita.”
L'assessore, contrariamente a tutte le previsioni, continua imperterrito a ridere, forse corroborato dalla splendida serata (tra le altre cose gratuita) di cui si prende giustamente pieno merito.
Per scoprire cosa hanno veduto (e apprezzato) Xamini e soci non vi resta che sbirciare i commenti nel sito...
APPROFONDIMENTO INSERITO DAL BENEMERITO XAMINI