Notte poco brava di uno svirgolato con carneficina in un dormitorio femminile firmato non senza svolazzi arty da Wakamatsu. Ce n'è d'avanzo per mezza tonnellata di aspettative, questa volta tutte disattese. Gelido, secco, allusivo e diluito. Certamente in là coi decenni per essere del 67 (lo diresti sfornato pochi anni fa da un Kumakiri più calibrato), comunque il Wakamatsu più irresoluto e meno feroce, grafico e parossistico.
Buon utilizzo del bianco e nero, accompagnato da molti piani sequenza che mettono in risalto le buone interpretazioni degli attori. Il bianco e nero viene interrotto da scene a colori, sopratutto verso la fine, che aiutano il film a guadagnare in identità. Dopotutto interessante.
Un uomo sessualmente frustrato e misogino penetra nottetempo in un dormitorio femminile e prende in ostaggio sei infermiere. Comincia un lento massacro… Per tre quarti siamo al cospetto di un’ossessiva e claustrofobia esplosione di violenza, poi il film imbocca un'altra strada. Questa seconda parte è poco convincente, ma nel complesso il film sa essere duro, spietato e non banale. Come in Embrione, lo psicopatico è una personalità disperata e profondamente sola.
Ispirandosi ad un vero fatto di cronaca, Wakamatsu costruisce il solito film ricco di sesso e violenza in cui affronta le sue tematiche, infarcendole di scene gratuitamente sensazionalistiche che sono discutibili e possono irritare. Lo stile c’è, ma i vezzi del regista (come quello abituale di alternare scene in bianco e nero e a colori) per quanto possano anche piacere lasciano il tempo che trovano e innescano il sospetto che siano fini a se stessi.
Pazzoide maniaco, oltremodo misogino, fa irruzione in un dormitorio femminile seminando il panico tra sei ragazze. Lampante è l'assoluto nichilismo che Wakamatsu adotta nel tratteggiare questo ragazzo soffocato da un senso indecifrabile di solitudine e scoraggiamento. La realizzazione però risulta ridondante, a tratti pedante e pachidermica. Glaciale, come il b/n della fotografia, la pellicola ha pochi momenti davvero interessanti e non punge come dovrebbe, nonostante la messa in scena desolante e spietata.
Come spesso accade, Koji Wakamatsu sospende la vicenda su di un piano metafisico, un non-luogo dove i desideri e le pulsioni dell'uomo giapponese che si riversano senza pietà sulla donna sono lo specchio di una società intransigente e misogina. Molto buone le interpretazioni femminili, valorizzate da movimentati piani-sequenza e dall'incredibile utilizzo del bianco e nero dilaniato da istantanee di colore (l'indimenticabile angelo). Il finale lascia l'amaro in bocca.
Koji Wakamatsu HA DIRETTO ANCHE...
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"'Film imbevuto di un sadismo totale' lo ha definito il critico Tadao Sato e, infatti, è chiara l'impronta del Divino Marchese nel rapporto tra il purissimo carnefice e le inquietanti vittime che gridano e si agitano ma nulla fanno per sfuggire alla loro sorte, quasi ne provassero un profondo, inconfessabile diletto sessuale."
Callisto Cosulich, "Le guerrigliere del soccorso rosa", in ABC n. 25, 1972
Il film è quasi certamente ispirato alle clamorose gesta dell'omicida seriale Richard Speck, che nel luglio del '66 culminò la propria carriera omicidiaria irrompendo in un dormitorio femminile e facendo strage di 8 studentesse. Una nona, salvatasi grazie a un'abile tanatomimesi, l'ha poi immediatamente denunciato e fatto catturare.
La vicenda è stata fonte di ispirazione anche per alcune situazioni di Dieci minuti a mezzanotte.
Come si legge qui:
(...) Inoltre mi trovavo in sintonia con le intenzioni di Oshima. Potevo comprendere il suo punto di vista: dopotutto, l’idea di scegliere il soggetto di un film tra le pagine di cronaca nera non era una cosa nuova per me. Sebbene ambientato in Giappone, il mio Angeli violati (Nihon boko ankokushi, 1967), è basato sul famoso caso Richard Speck, un cittadino dell’Illinois che aveva violentato e ucciso otto infermiere del South Chicago Community Hospital durante l’estate dell’anno precedente.