The act of seeing with one's own eyes - Corto (1971)

Circa mezz'ora di autopsie (riprese all'obitorio di Pittsburgh) mostrate senza sonoro: uno dei punti più estremi del cinema d'avanguardia americano, coraggioso e privo del compiacimento dei mondo movies (quì assolutamente assente) anche se la componente "filosofica" che automaticamente scaturisce dalle immagini (la futilità dei problemi quotidiani; il voyeurismo) non riesce a tenere lontana la noia. Per curiosi e amanti dell'estremo e dell'insolito. Curiosamente trasmesso in fascia notturna su rai3.

Provocazione estrema di Stan Brakhage sull'osservare e sul parallelo tra cinema e occhio, il film è indubbiamente lontano dal cinema narrativo, poiché assorto nel silenzio totale delle riprese di diverse autopsie. Valutandolo dunque solo come cinema d'avanguardia, va premiato per la sua audacia e per l'indiscutibile forza disturbante delle sue immagini, per lo scontro che ci troviamo ad affrontare mentre vediamo le carni, mentre immaginiamo il fetore e ci chiediamo che stomaco abbiano i medici forensi. Rimane il fatto che Brakhage è un folle.

Il titolo è parafrasi etimologica del contenuto: un collage di autopsie all'obitorio di Pittsburgh. Ogni dubbio di sensazionalismo è fugato dalla scelta della rinuncia totale al sonoro e dalla cattura di singoli elementi sparsi: il pattern va a comporre un manifesto metafisico di nichilismo radicale, la morte cercata (e non trovata) nell'ammonticchiarsi di corpi senza vita, lo zoom della camera che si sporge sull'orlo del baratro senza riuscire a vedere oltre. Sta tutta qui, l'inutile caducità umana, il mistero dell'esistenza. Colonna d'Ercole.