FALSI D'AUTORE-Perduti e ritrovati
Cinema femmineo (e soprattutto femminista) quello della von Trotta, che con un occhio guarda a Bergman e con l'altro a
Mafù della Arthur
Un rapporto morboso tra due sorelle (una algida e calcolatrice ed efficente segretaria, l'altra insicura, debole, sofferente, totalmente dipendente dall'altra) che sfocia nello psicodramma , per lambire le derive del thriller dell'anima, scendendo nei meandri oscuri della mente femminile, tanto cara a certo cinema aldrichiano e fassbinderiano, fino alla trilogia "uterina" altmaniana.
Algido, distaccato, chiuso nel grigiore di un Amburgo quasi aliena, dove la regista tedesca sonda implacabile (e con precisione freddamente chirurgica) il rapporto "malato" che lega Maria (la sorella maggiore responsabile e dal forte carattere) a Anna (la sorella minore fragile e passiva) si muta in ossessione dopo il suicidio di Anna , dove Maria vuol "sostituire" Anna con l'amica Miriam.
Un bosco di betulle che apre e chiude il film, i flashback delle sorelle bambine che leggono una fiaba o si impiastricciano di rossetto davanti ad uno specchio, gli incubi notturni di Maria divorata dai sensi di colpa (la von Trotta sfiora, inaspettatamente, l'horror, con visioni spettrali quasi baviane-Anna cerulea con stampato in faccia un ghigno mortifero, Anna a tavola che mangia sempre con lo stesso ghigno, specchiarsi e vedersi la nuca, in una sequenza che verrà ripresa paro paro ne
L'ultima eclissi-), che chiude sulla donna-ormai chiusa nella sua solitudine e nella sua lucidafollia-che scrive sul suo diario e si "sdoppia" che nemmeno in un film di Brian De Palma.
Cinema freddo quello della von Trotta, ma pregno di ossessioni femminee che sfociano nella psicopatologia, nel dolore che tutto avvolge , per isolarsi nel tormento interiore che preclude l'amore (l'uomo che vuole instaurare una relazione amorosa con Maria, ma senza successo) e quei pochi attimi di felicità (sulla strada di campagna con la BMW, contorniata dalle betulle che diventano un simbolo di quell'unione tra sorelle che riporta all'infanzia)
Interni di uffici quasi cronenberghiani, night fumosi, stradine di campagna avvolte dal gelo invernale (che riproducono lo stato d'animo di Maria), diari rivelatori e accusatori (lo scritto post mortem di Anna dedicato a Maria, che si descrive come una vampira vendicativa)
Performance attoriali intensissime (bravissima e affascinante, pur nel suo carattere freddo, manipolatore e "autoritario", Jutta Lampe) in un cinema di donne che tocca i lati più bui e contorti degli affetti, sfiorando la passione incestuosa (Maria scalda, con il suo corpo nudo, nel letto, l'infreddolita e spaurita sorella)
Il battere a macchina, in parte autobiografico (la von Trotta lavorò, in gioventù e per un breve periodo, come dattilografa in un ufficio) i corsi di inglese, Miriam che balla sulle note di una vecchia canzone, la radio e i giornali che parlano di enormi ratti che sopravvivono ai test nucleari e che, un giorno, domineranno la terra, la voglia di fuggire via, l'ombra ingombrante della morte e della solitudine, la fredezza che nasconde inquietudini e rimorsi, avvolte nel grigiore nella città tedesca, tra palazzi e appartamenti dove affogare il proprio dolore.
La von Trotta va a infilarsi sottocute e riesce a destabilizzare, con una regia impeccabile e zeppa di sfumature, (ri)confermandosi una delle autrici più intense del cinema tedesco e non.
Il demone è donna, e vive sotto la pelle.