FALSI D'AUTORE-Perduti e ritrovati
Cosa abbia spinto l'autore di
Betty Blue a realizzare un'opera totalmente incentrata sul mondo dei domatori di leoni rimane un mistero
Scelta scriteriata, incosciente, ma anche coraggiosa sotto certi punti di vista. Un Beineix che però pare avvitarsi su se stesso, dando più importanza alla forma che non al contenuto, esente da "follie" d'autore, come , ad esempio, lo era quella scheggia impazzita di
Mortal Transfert
Che uno dei più talentuosi registi francesi (esploso insieme a Leos Carax) della decade ottantiana si vada a cercare l'insuccesso commerciale e cosa ormai nota (nemmeno il
Ciak dell'epoca lo degna di una recensione), seppoi il suo quarto opus è una favoletta dei nostri giorni, che si dipana tra gabbie, fruste, cerchi infuocati e addestramento delle fiere da circo, si ammirano gli intenti (più che i risultati) di certe scelte eccentriche e bizzarre di questo straordinario e personalissimo autore (di cui non le sarò mai grato abbastanza per
Betty Blue)
Quà e là fanno capolino i gusti estetici postmoderni del regista dello
Specchio del desiderio, abbagliati da una fotografia che lascia a bocca aperta (Beineix c'è l 'ha nel sangue il dna per l'immagine estetizzante), ma a zoppicare è la sceneggiatura, che racconta (a volte con toni parafelliniani e sognanti) di una coppia di giovani domatori che gira da un circo all'altro, fino ad approdare in Germania per realizzare i loro sogni di gloria (avere dei leoni tutti per loro e meravigliare il pubblico), che sfocia in un finale kitshissimo e baracconesco, sottofellinata di cartapesta del più sublime e pacchiano trash d'autore
Rimane ben poco a fine visione (se non gli splendidi felini e i grandi ruggiti), anche se Beineix , con una storiella così felbile e in fondo inutile, non annoia più di tanto, vuoi per la bellezza folgorante della Pasco (domatrice ferrea e sicura di sè), vuoi per alcune schegge visive che riportano al miglior Beineix (
Diva su tutti) che è forse il regista più "americano" della sua generazione.
Tra racconto di formazione, scampoli da fiabetta , terribili momenti da commedia (tutta la pantomima con il mastino napoletano nell'alberghetto, la triste sequenza della danza del gatto, il fastidiosissimo personaggio inutile del professore di inglese) scenografie da avanspettacolo, e realizzazione dei propri sogni, Beineix si impantana in uno strano ibrido che non trova il suo pubblico (a chi può interessare la vita dei domatori di belve ? Con gli addestramenti che portano via metà film?), ma che narra con sincera passione e intensità
I furiosi leoni in calore , la lotta in cucina-fra coltelli e quarti di bue-tra il domatore tedesco-con cicatrice sul petto a perenne ricordo-e il giovane Thierry, sempre il domatore di tigri tedesco che si spara davanti alla gabbia della tigre, la Pasco, che nel finale chiassoso e circense si ammanta di celestiale magnificenza , la soggettiva del tunnel dove escono i leoni, tasselli di un'opera imperfetta, fievole, sgangherata, un pò sciocchina, ma stranamente vitale e con qualche suggestione che va a segno. Difficile, dall'altro canto, accettare certe imposizioni e istruzioni (a suon di schiocchi di frusta) a cui sono costretti i maestosi felini, perchè , pare, non ci fosse la protezione animali sul set, facendo venire un coccolone agli animalisti durante la sua proiezione nei cinema.
Tonitruante la musica di Reinhardt Wagner e Jean-François Robin illumina ancora i sogni romanticheggianti (questa volta molto più teneri) di Beineix.
Certo, però, che l'autore di quel capolavoro che è
Betty Blue non abita più quì