Prima pellicola in assoluto a confrontarsi con la realtà del movimento skinhead britannico, nato e sviluppatosi in seno alla situazione socio-politica che colpì il paese tra la fine dei '70 e l'inizio degli '80. Clarke non sceglie la strada passiva del documentario musical/estetico e si cala invece nella fiction drammatica, ponendo al centro della storia l'esordiente Tim Roth, ossuto e coriaceo sbarbatello nichilista carico di rabbia e disprezzo nei confronti di tutte le istituzioni. Le finalità televisive tradiscono un lieve didascalismo di fondo ma il film è tutt'altro che conciliante.
MEMORABILE: Il "mansoniano" protagonista, svastica tatuata in fronte ed espressione perennemente beffarda e sprezzante.
Riflessioni sui bug di sistema dell’apparato educativo e sulle falle del consorzio umano, quando i mondi ideologici degli apocalittici e degli integrati si scontrano, due zeri spaccati formanti un otto: l’uno per esistere abbisogna il contrasto dell’altro. Appassionata è l’adesione di un esordiente Tim Roth-Caino di Londra trasudante disprezzo, rabbia, arroganza e no future a ogni frame che i Lumiere mandano sullo schermo, in un’opera d’importazione televisiva ma di non indifferente impatto emotivo e drammaturgico nel suo volersi accollare il crollo della galassia sociale di tutta una nazione.
MEMORABILE: La paternale alla lavagna nella cella di isolamento.
Ritratto di un giovane skinhead, senza le connotazioni ambientali, per spiegare il fenomeno di ribellione. I dialoghi sono ovviamente coloriti e il sistema assistenziale sembra sia un fallimento; anche da parte della polizia l'unica via è la detenzione. Il quadro manca di una visione più ampia e le "performance" dei reati di Roth non colpiscono più di tanto. Alla fine è come una canzone dei Clash, tanto è la giustizia che vince...
MEMORABILE: Lo schema alla lavagna; L'urina sui files; Le pietre nelle finestre dei pakistani.
Arancia meccanica trasposto nella realtà? Spaccato di vita sulle bravate di un giovane naziskin e sui tentativi per correggerne lo stile di vita. Ne risulta l'impressione di stare costantemente assistendo a un amaro dialogo fra sordi in cui nessuno cerca davvero di capire nessuno (lui odia le istituzioni e i loro rappresentanti e l'atteggiamento per lo più autoritario di costoro certo non lo renderà meglio disposto) e nel quale manca un vero vincitore. Opera efficace in quanto dinamica e capace di far riflettere. Tim Roth esordisce su schermo con una prestazione ragguardevole.
MEMORABILE: Le espressioni spiritate di Trevor; Il predicozzo alla lavagna; Le sassate alle finestre in compagnia del nero che urla frasi razziste.
Alan Clarke HA DIRETTO ANCHE...
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Quella di Alan Clarke è la prima opera in assoluto a trattare il tema "skinhead" attraverso una storia vera e propria, andando al di là del mero documentario su musiche e abbigliamento.
Il film segna anche l'esordio su schermo di un talentuoso interprete come Tim Roth, nei panni di una figura adolescenziale scomoda e problematica, via di mezzo tra Charles Manson (i non-ideali, la svastica tatuata in mezzo agli occhi...) e il Travis Bickle di Taxi Driver (l'espressione da pazzo, la giacca verde-militare fuori misura), pedinato zavattinianamente in tutte le sue rudi scorribande menefreghistiche contro ogni autorità precostituita.
Nonostante sia un prodotto girato appositamente per la TV inglese, il suo impatto è abbastanza forte e soprattutto poco rinfrancante.