La morte del sarago - Corto (2016)

Perché davanti al dramma esistenziale di chi non sa fare il passo più lungo della gabbia (da provincia piccina picciò al mondo) il cinema nostrano deva sempre arroccarsi in un tinellismo sconfortante che finisce col far diventare il prodotto più provinciale del provincialismo illustrato/lamentato, non è dato sapere. Fatto sta che non ci s(t)iamo: approvvigionandosi di attori statici e grazie al suo drammaturgico aduggiare pallido e assorto, non solo non scatta alcun relé ma l’intero quadro elettrico della platea va in panne. Che il sarago sia lo spettatore e il corto il suo funerale?

Tanti consigli per cucinare il sarago conditi da “è la morte sua”. E di morte si parla in questo corto, ma con intelligenza e delicatezza, a proposito di tumore, con due storie parallele: la madre che ha lasciato marito e figlia, e l’uomo che sa di non avere scampo. La metafora sul pesce è ridondante, ma funziona bene, e alla fine offre anche una soluzione rappacificante con il dolore dell’assenza. Il film è sincero e modesto, semplice e rattenuto, e proprio per questo riesce a suggerire alcuni momenti importanti. Senza clamori, con delicatezza.