Un santone, un Gesù Cristo sperduto sulla terra, abbandonato per sempre dal padre, dà vita a una comune di derelitti in una casa diroccata al centro di Mosca. Non può funzionare. Questa volta Giuda è una donna, la sua donna. Lei vuole essere normale, sazia e quieta. Fuggirà via. Lui si evirerà e aspetterà la fine (di ogni cosa). Nessuno sarà redento.
Lascerà meravigliato l’autore lo sdoppiarsi segnico di Mesto (città in russo, afflitto da noi), visto il suo secernere una tale mole di degrado, martirio, impraticabile ascensione e indicibile supplizio che è d’avanzo per soccombere all’idea che l’inferno post-mortem non può esserci perché lo stiamo già esperendo qua, e di quanto utopica sia una riconciliazione panica col cosmo. L’insostenibile trait d’union tra apice della grazia e imo di non ritorno dell’Incubo, che ti pignora la joie de vivre e che Leon Bloy avrebbe adorato. Al termine si ha l'urgenza di tre mesi filati di bagno termale.
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che colpo di maglio: tarkovskij zulawski ejzenstein pasolini che fan sirtaki in una dimensione oltrespaziale (la russia che sussume la sofferenza e la pietas del mondo intero) e oltretemporale (niente sarà sempre contemporaneo come il dolore cosmico). mai esperita una così ingente quantità di midollare strazio al cinema. la superlatività fatta film, cinema per il quale ogni elogio è un diminutivo, ma che può rivelarsi un impietoso ufficiale giudiziario che ti pignora la voglia di esistere se affrontato nel momento sbagliato. dell'autore mi aveva sempre incuriosito ladoni, ma ora che so che partita gioca e con quali mosse, credo che me ne terrò a distanza.
se ti piacciono gli autori summenzionati, specie i primi tre, direi moltissimo. ma occhio, è un'opera che fa un male della madonna, strepitosa ma che ti lascia una depressione e un disagio che non ti levi più di dosso. non so se riuscirei mai a rivederlo.