Lello Arena attore ha dei numeri: pur ripetendo in fondo sempre lo stesso personaggio è dotato di una simpatia innata, di un'espressività inconfondibile, di una napoletanità verace che riesce a salvarlo sempre e comunque. Anche quando, come in questo caso, rende un pessimo servizio a se stesso esordendo malamente come regista e scrivendosi una storia senza nerbo, in cui la mancanza palese di una regia solida fa risaltare una lunga sequela di di difetti, non ultima una una prolissità ingiustificata (oltre due ore per un film così sono davvero troppe!). Nel tentativo di raccontare la solita favola del disoccupato/disadattato/innamorato comune alla gran parte dei...Leggi tutto film italiani d'esordio, Arena incorre nelle trappole più prevedibili: romanticismo di maniera (con tanto di colonna sonora "delicata" di Nicola Piovani), superficialità, personaggi disegnati svogliatamente che si salvano, in qualche caso (vedi Tosca D'Aquino, l'amica della pensione Fiordaliso) solo grazie alla spontaneità degli interpreti. E l'ambientazione in una Napoli insolita non basta, anche perché i contrasti cromatici della fotografia e le luci sono di dubbio gusto, tendenti al kitsch, e fanno apparire artificiose le scenografie. Ci si deve accontentare, qua e là, di alcuni momenti azzeccati, al limite dello sketch (la scenata al ristorante), di un tormentone ("Quant'è bella 'a bambina", detto dal vicino di stanza che ferma chiunque passi per mostrargli la figlia) divertente ma esageratamente insistito, di un Lello Arena che sa comunque recitare con professionalità e sa ironizzare con gusto (spesso ricordando il suo ex “compagno di Smorfia” Massimo Troisi).
Esordio alla regia di Arena che si garantisce il ruolo principale del film (un po’ come fece Troisi nell’81, ma con esiti artistici - e di botteghino - più allettanti). La vicenda è la solita, del meridionale costretto a lasciare il paese per lavorare (trama mi pare già vista!). Lello trae spunto dagli stilemi del primo cinema di Troisi inserendo lunghi discorsi comici partenopei con inquadrature sui volti illuminati, ma senza avere lo stesso appeal dell'amico. Lunghezza smisurata, tempi morti e forse l'eccessivo romanticismo, uccidono il film. Farraginoso.
Per chi apprezza la comicità, ormai divenuta classica, del trio "La Smorfia" ed in particolare di Lello Arena (protagonista e regista del film), ma anche di Massimo Troisi (che nel film non compare). Nulla di trascendentale, ma la maschera di Arena è una di quelle che respira di una vita propria, di una simpatia che si fa proverbiale ad ogni inquadratura, intorno a cui il contesto serve da discreto propiziatore della tipizzazione. Sfiziosa la D'Aquino, mentre la plorona Nickson soffia cenni di tenera malinconia nella comicità del nostro Lello.
Lello Arena ci guida dentro il suo film (quasi un monologo e un affresco delle sue capacità attoriali) attraverso sventure amoroso-lavorative filtrate con la solita ironia surreale e non-senso tipica del comico partenopeo. Bravi i caratteristi di contorno e bella, come non lo è più stata sul grande e piccolo schermo, Tosca d'Aquino.
MEMORABILE: I gatti neri e bianchi, le galline con gli occhi a mandorla.
Prima esperienza da regista per Lello Arena in un film che non convince. Inevitabilmente il confronto con le analoghe esperienze di Troisi è un ostacolo difficile da superare. Arena, per quanto artista intelligente e sensibile, manca della presenza scenica e del carisma di Troisi. Nello specifico questo "Chiari di luna" manca di un ingrediente fondamentale per un regista al suo primo impegno: l'originalità. Gradevole la colonna sonora di Piovani.
Arena si smarca dall'"ingombrante" Troisi sulla scena ma, per quanto il film sia simpatico, non riesce ad avere quello spunto che ci aspettiamo. La pellicola gira su una Napoli bagnata da un eccessivo buonismo e un manto di romanticismo che più che accattivare tende al tedio. Non tutto è da buttare, però, a cominciare da una D’Aquino che regala una performance assolutamente graziosa e un cast di comprimari e macchiette efficace. La sola nota dolente è il personaggio della Nickson, che non riesce a incidere come il regista vorrebbe.
Esordio alla regia per Lello Arena, che però fallisce nel tentativo di imitare il successo del suo ex-socio Massimo Troisi. In questo film si va avanti stancamente con una sfilza di luoghi comuni, compresa la giapponese che era già presente nel cinema di Truffaut e anche in quello di Gianni Morandi. Una giovanissima e brava Tosca D'aquino merita mezzo punto in più.
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Non è un film propriamente da buttare, ma i tempi di Lello sono particolarmente lenti. Interessante la presenza (penso sia uno dei primi film) di Tosca D'Aquino già nel suo tipico stile che di fatto non ha cambiato.