Discussioni su Xpiation - Film (2019)

  • TITOLO INSERITO IL GIORNO 16/01/20 DAL BENEMERITO BUIOMEGA71
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  • Davvero notevole!:
    Gada
  • Quello che si dice un buon film:
    Buiomega71

DISCUSSIONE GENERALE

1 post
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  • Buiomega71 • 16/01/20 10:49
    Consigliere - 25998 interventi
    Ciò che l'occhio non vede-L'introspezione della visione.

    L'occhio che uccide secondo Cristopharo, ovvero il martirio e l'introspezione della visione dal punto di vista di uno dei registi più viscerali, personali e geniali del cinema indipendente.

    Un lurido capanno abbandonato, un uomo tatuato legato con una ball gag infilata in bocca, un tossicodipendente affetto da stati di allucinazione che lo tormenta fisicamente, una donna elegante e provocante (come la Macha Meril dell'Ultimo treno, di cui condivide più di un'aspetto), seduta su di una poltrona, che filma tutto con la sua telecamera digitale.

    L'occhio di Cristopharo non arretra di fronte a nulla, e il vademecum delle torture ha inizio.

    Il ragazzo legato viene prima preso a pugni, poi scorticato (con una spugna di ferro) del suo tatuaggio (la carne si martoria e arriva fino all'osso), le viene tagliata la faccia, le vengono spezzate le dita una a una, eppoi colpito ripetutamente, al volto, con un ferro da stiro. Ferro da stiro ardente che le deformerà i lineamenti, passato pure sulle ferite profonde e sanguinolente, l'acido versato addosso che scioglie pian piano quello che rimane della "povera" vittima, fino a chè feroci martellate le spappoleranno i testicoli e il manico del martello stesso usato come mortale dildo, in una penetrazione anale quasi insostenibile, che le sfonderà lo sfintere , "suspirianamente" simile alla lama del pugnale che penetrava nel cuore di Eva Axen nel capolavoro immortale argentiano.

    Ma il livello alla American Guinea Pig , ormai digerito e ridotto all'assuefazione, viene superato dagli abusi minorili, dai rapporti omo "pasoliniani" al limite dell'hardcore, dalla minzione, dalla saliva, dalle leccate, dalla droga (che ritorna dopo Red Krokodil), dalle stridenti canzonette fasciste (Faccetta nera e Ho scritto una lettera al Duce) che rimbombano nel tugurio della sofferenza, da dolorosi e lancinanti flashback (il marito omosessuale, il compagno della madre che si infila nel letto e abusa della ragazzina, un'infanzia tra madri violente e roastbeef andati a male), e un twist fulciano di rara ferocia, di una enucleazione orbitale, di una vendetta femminile spietata e implacabile, che distrugge il corpo (maschile), alimentando il decadimento mentale della signora della morte armata di videocamera.

    Videocamera che riprende inesorabilmente ogni dettaglio del supplizio, che và a sostituire l'occhio estirpato (bellissima a questo proposito la sequenza dell'occhio della donna che si riflette sullo specchietto, prima dell'agghiacciante rivelazione finale), che registra la "morte in diretta", fino a quando la vendetta ginecea non si compie in tutto il suo orrore.

    Eppoi arriva una chiusa surreale, quasi bunueliana (l'angelo), che ammanta di zozza e perversa poesia questo opus cristophoriano e rimanda al dadaismo del suo regista, alla kenrusselianità di The Museum of Wonders

    Non solo semplice extreme fine a sè stesso, ma qualcosa di più profondo, che và al di là della mera carne da macello al sapor di snuff, e destabilizza sullo scambio di ruoli ( da vittima di passa a carnefice e viceversa).

    Una coppia di spacciatori "mostruosi" (con rimandi ai mostri antropomorfi nazisti di Un lupo mannaro americano a Londra), visti così negli stati di alterazione mentale dal torturatore tossicomane, il seno materno della Pavoni che "allatta" il suo discepolo, la lascivia sessuale della donna sulla sua vittima, che si tocca nell'apice delle torture o che si "dona" mostrando il suo sesso, accovacciandosi libidinosa e vendicativa allo stesso tempo.

    La Pavoni (in autoreggenti e tacconi) è imperturbabile e gelida mater tenebrarum, che fà della seduzione e della sua provocante natura di donna un'arma mortale, sempre tenendo salda la videocamera, godendosi il terribile spettacolo di morte e devastazione corporea della sua vittima, da ragazza abusata (geniali le alternanze di lei giovane sulla poltrona, quasi un cortocircuito visivo alla Profumo della signora in nero, quando la Farmer vede sè stessa ragazzina nella figura di Lara Wendel) a matrona/baldracca padrona della vita e della morte.

    Ben assestati gli effetti di trucco di Athanasius Pernath (facce devastate, ferite purulente, dita spezzate, occhi estirpati, squarci profondi, carni maciullate fulcianamente esposte) e l'unica location-flashback a parte- (il fetido magazzino) rende il tutto angoscioso e disturbante, amplificando il disagio mentale e fisico.

    Cristopharo si occupa anche della fotografia e le musiche minimali e ipnotiche di Antonio Coia (tra Carpenter e il Simonetti di Phenomena) impreziosiscono l'incubo cristophariano del gran guignol teatrale della sofferenza e della rivincita muliebre.

    Qualche steccata (il riferimento all'immigrazione) non intacca questo piccolo inferno fatto di nichilismo e ferocia femminea, dove l'occhio (sostituito dall'obiettivo della videocamera, quindi in funzione di un "terzo occhio" meccanico e artificiale) offeso e villipeso, vede oltre, fino all'espiazione finale.
    Ultima modifica: 16/01/20 17:55 da Buiomega71