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La nostra recensione di Rosso

Commenti L'IMPRESSIONE DI MMJImpressione Davinotti

Tornando indietro all'Argentina del 1975, poco prima del colpo di stato che cambierà le sorti del Paese, Benjamin Naishtat sceglie il punto di vista di un avvocato benestante (Grandinetti) che nelle prime scene ci regala un monologo feroce: seduto al tavolo d'un ristorante in attesa della moglie in ritardo, accetta di alzarsi per lasciar sedere al suo posto un uomo (Cremonesi) che pressava il cameriere insistendo di aver diritto lui a quel tavolo; perché lui avrebbe mangiato e pagato, non solo aspettato senza far nulla. L'avvocato si alza e cede il posto togliendo d'imbarazzo il cameriere, non senza - poco dopo - fermarsi ad osservare l'uomo fino a rimproverarlo a lungo,...Leggi tutto compostamente ma convintamente, con frasi che hanno il potere di distruggerne ogni certezza facendolo ragionare sulla pochezza della sua esistenza. Non troppi minuti dopo quello si sparerà in testa e, ancora vivo, non verrà soccorso dall'avvocato, che si limiterà ad abbandonarlo nel vicino deserto. Sono sequenze spiazzanti, ciniche ma che evidenziano la bella cura utilizzata per i dialoghi e la qualità nella recitazione di Darío Grandinetti, il quale verrà successivamente coinvolto da un amico nell'acquisto fasullo di una villa abbandonata. Scene di media durata che si susseguono non sempre secondo una logica stringente e che in alcuni casi lasciano aperti molti interrogativi sul significato e i messaggi comunicati dall'autore. Come quando racconta gli incontri amorosi della figlia dell'avvocato, gli strani atteggiamenti del suo fidanzato o quando si sofferma sulla spiaggia a inquadrare l'eclisse solare che tinge tutto di rosso (da qui il titolo). Importante il rapporto del protagonista con la moglie (Frigerio), ma non più di quello con l'investigatore (Castro) chiamato a indagare sulla scomparsa del cognato del socio in affari (loschi), che scopriamo essere proprio l'uomo uccisosi dopo il diverbio al ristorante. Insomma, la carne al fuoco è tanta, l'approccio straniante che caratterizza spesso i film d'autore coincide con le ambizioni di descrivere un mondo ormai lontano ma non così diverso dall'attuale, in cui la corruzione e il malaffare serpeggiano. Scelta una fotografia singolare, dai toni scuri e i colori che tendono all'ocra, Naishtat non trova sempre uno svolgimento felice ma spesso riesce a intrigare attraverso uno stile singolare, raffinato. Attendista anche, interlocutorio, inserendo parentesi la cui consequenzialità col resto dell'opera sfugge ma disegnando un buon quadro d'insieme. Sicuramente non un film per tutti, premiato forse oltre gli effettivi meriti nei Festival dov'è stato presentato, ma che a tratti sorprende. Peccato non aver mantenuto lo stesso spirito caustico, folle e intrinsecamente molto spassoso della scena iniziale al ristorante costruendo su quello il film.



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TITOLO INSERITO IL GIORNO 10/11/21 DAL DAVINOTTI
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