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La nostra recensione di L'uomo che disegnò Dio

Commenti L'IMPRESSIONE DI MMJImpressione Davinotti

A quasi vent'anni dalla sua unica regia Franco Nero torna dietro alla macchina da presa per dirigersi nel ruolo di un pittore non vedente in grado ugualmente di disegnare ritratti perfettamente somiglianti alle persone che ascolta parlare di fronte a sé. Ispirato alla storia vera di un insegnante all'Accademia di Belle Arti di Torino degli Anni Settanta che anche dopo aver perso la vista riusciva comunque a modellare i suoi volti di plastilina, il film si preoccupa soprattutto di tratteggiare con difficile profondità la figura di Emanuele Assuero (Nero), professore di disegno in una scuola serale scorbutico e diretto, che...Leggi tutto non ha problemi a esternare ciò che pensa anche quando sa benissimo di risultare maleducato; perché il pietismo nei confronti dei disabili è peggio, afferma, e un simile atteggiamento la previene. Sulla carta è un personaggio curioso e interessante, cui un attore navigato come Franco Nero sa dare bello spessore, ma l'eccesso di frasi-sentenza, di considerazioni che si vorrebbero alte, filosofiche e comunque sempre sagge, rende sovente grottesco il risultato, non aiutato da una recitazione generale impacciata in cui l'unica a emergere con bravura è Stefania Rocca, credibile nel ruolo dell'assistente sociale con la quale Emanuele ha instaurato un rapporto privilegiato. Gli altri, chi più chi meno, appaiono nel migliore dei casi poco spontanei, a volte decisamente goffi (si pensi ai tre alunni scapestrati).

Il talento straordinario dell'artista emerge fin dalla prima scena, quando su una panchina del parco ritrae un bimbo in carrozzina di fronte alla madre dapprima seccata poi stupita. La strabiliante somiglianza dei disegni ai soggetti reali, anche nella complessità dei tratti somatici, dà subito l'impressione di un'esagerazione al di fuori di ogni logica, difetto che si amplierà nella scena dell'arresto per presunta pedofilia; e dire che il commissario cui spetterà l'indagine è interpretato da quel Kevin Spacey che a Hollywood nessuno ha più chiamato a recitare proprio a causa di accuse simili... Una presenza inattesa, quella del grande attore, così come quella di Robert Davi (l'avvocato), entrambe marginali ma non fugacissime come invece quelle di Faye Dunaway (è l'ex insegnante di Braille di Emanuele!) o di Massimo Ranieri (cameo superfluo nel ruolo di un finto cieco che chiede l'elemosina).

Il professore, dopo aver licenziato la colf (D'Ambra) che rubava, accetta il consiglio di Pola (Rocca) e decide di ospitare in casa Iaia (Ciammaglichella), un'alunna del suo corso, e la relativa madre (Abrham), in fuga dal bar dove lavorava perché il proprietario la palpeggiava. Il rapporto con le due si vorrebbe complesso, ma si esplica attraverso dialoghi troppo elementari per convincere; un po' come tutto il film, in cui l'artificiosità si sposa a una storia ricca di luoghi comuni (il solito video "rubato" che diventa virale e che mostra Emanuele mentre disegna, la solita trasmissione di talent che lo ingaggia per creare il caso...) affrontati perdipiù con pause e dialoghi in più di un'occasione imbarazzati, a testimonianza di una forma deficitaria che spesso rischia di far precipitare il film nel ridicolo involontario (finale compreso). Dispiace per un Nero che si capisce quanto ci creda e che porta splendidamente i suoi ottant'anni, ma i ripetuti pistolotti che infiocchettano scambi debolissimi non aiutano, e pure l'ingenua critica alla tv spazzatura compiuta attraverso innesti volutamente trash (il look con cui Emanuele viene presentato di volta in volta in trasmissione) ottiene l'effetto contrario apparendo rozza e povera. Insomma, non ci sarà troppo da stupirsi se qualcuno sfrutterà il lodevole, serioso impegno degli autori – che comunque qualche merito ce l'hanno - per farsi quattro risate. D'altronde Nero che suona il duduk armeno predispone...

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TITOLO INSERITO IL GIORNO 3/08/23 DAL DAVINOTTI
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Marimba69 15/08/23 18:19 - 29 commenti

I gusti di Marimba69

Un film che si può seguire senza annoiarsi. Lo stile narrativo ricorda vagamente le ultime cose di Terence Hill (Don Matteo o Thomas) e forse proprio solo quest'ultimo avrebbe potuto interpretare il ruolo di un eccellente (e non doppiato) Franco Nero: degno di plauso il suo sincero impegno anche dietro alla macchina da presa a ottant'anni suonati. Brava ed efficace Stefania Rocca. Spazio anche a una morale sull'alienazione da tecnologia che non è retorica ma dovrebbe far riflettere genitori e figli.

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