A causa di una serie di eventi paranormali una famiglia si rivolge a una coppia di sciamani per tutelare il proprio bimbo. Da uno spunto interessante esce una pellicola purtroppo in conclusione solo mediocre, complice in primis una durata fuori dalla norma ingiustificata rispetto alla poca corposità degli eventi narrati. Giocare con luci e ombre e figure mostruose funziona, ma sino a un certo punto: alla lunga ci si stanca e il gioco non vale nemmeno la candela, poiché il cast è deludente e i momenti di suspense distribuiti con il contagocce.
Jae-hyun Jang esplora, a modo suo, il mondo dello sciamanesimo coreano attraverso una pellicola horror che vede come protagonista un ottimo e centrato Choi Min-sik. Molto intense e coinvolgenti le scene dei rituali. Originale l'aspetto cromatico del film, che passa da colori intesi quasi saturi a gradazioni di colore sempre più rarefatte e cupe come a evidenziare la discesa verso il male.
Geomanzia, sciamanesimo, profanatori di tombe, anime risentite, una bara che bara. La somma è un pericolo per famiglie e impresari funebri. Ce ne sarebbe quanto basta per far divampare subito il pandemonio (Mestci ne avrebbe ricavato un ottavo Siccin), ma prima che il film dia seriamente di matto uscendo dai propri cardini dovremo stare zitti e buoni per tre dei suoi quarti (e parliamo di 130'), tutti preliminari di un orgasmo che arriva scoordinato. Ben impacchettato, ancorché originale, ma per traguardare l'ultimo fotogramma occorre la pazienza di tutti i santi del caldendario.
Una sciamana, un geomante e un impresario di tombe funebri devono unire le loro forze per combattere prima un antenato vendicativo e poi un revenant guerriero impregnato d'imperialismo nipponico... Horror-folk sudcoreano originale ma più curioso che riuscito: troppi i temi affrontati, alcuni dei quali strettamente connessi con la storia e le tradizioni del paese e troppo dilatati i tempi prima di arrivare al clou. La fattura è buona e il cast offre prove valide, ma si avverte la mancanza di una sceneggiatura coesa che tenga desto l'interesse per tutta la considerevole durata.
130 minuti di grande cinema che scrutano e scandagliano fenomeni religiosi e rituali arcaici sotto l’infiammata regia di Jae-hyun Jang. Il luogo ctonio, terroso, vivido, ostenta tutta la sua imponenza traducendo nel volto dei personaggi le psicosi indotte, mentre tutto attorno il sonoro ricama stridule melodie e la fotografia regala sensibilità cromatiche. Una storia stratificata, quindi didascalica, ma caratterizzata da un genuino livore terrifico. Febbrile la giovanissima Kim Go-eun.
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