Amer non passa invano. Ai cuginetti francesi piace assai il nostro cinema di genere più che a noi stessi, dopo Cattet & Forzani e prima all'argentino Luciano Onetti anche il duo Gaillard & Robin rende tributo allo "spaghetti thriller", omaggiando a più non posso i vari Miraglia, Martino, Dallamano, Ercoli, Bava ma soprattutto i numi tutelari di Fulci (in primis) e naturalmente Argento. Ma non solo, anche Polanski e De Palma vengono venerati e palesemente citati.
Blackaria (titolo bellissimo) è un seducente e piacevole vademecum feticistico di tutto l'armamentario dello "spaghetti nightmare", dove il duo rincara a piè sospinto, dalla fotografia cromatica incubotica alla Luciano Tovoli, agli onirismi, alle seduzioni lesbo, all'ossessione per le scarpe con il tacco (vero e proprio must), alle ambientazioni, all'atmosfera oniricheggiante, all'intelaiatura thriller che sfocia nella fiaba nera e nel fantastico quotidiano (la sfera di cristallo della chiromante lussuriosa, gli occhiali che predicono il futuro fatti con i vetri della sfera), fino alle esplosioni splatter con geyser di sangue, terribili rasoiate fulciane (il rasoio che trancia l'occhio come la lametta da barba ne faceva scempio di quello di Daniela Doria nello
Squartatore di New York, e, al tempo stesso, omaggio al Bunuel di
Un chien andalou), la catena che spacca la carne della faccia ad una delle ragazze ubriache (come succedeva alla Bolkan in
Non si sevizia un paperino), il coccio di bottiglia (come Zora Kerowa nello
Squartatore), il pugnale infilato in bocca (ancora la Doria in
Quella villa accanto al cimitero), accoltellata nella vasco da bagno alla
Sei donne per l'assassino, sgozzata e trovata morta sul letto come Anita Strindberg nella
Lucertola fulciana (e la stessa ossessione lesbo della vicina di casa e delle porcaggine libertina della vittima), e non meno importante il massacro nell'ascensore a suon di rasoiate tra dita amputate e la lama del rasoio che incide le carni (come in
Sette scialli di seta gialla), duplice venerazione a
Vestito per uccidere e alla
Jennifer di Carnimeo.
Traumi che vengono dal passato (dai sapori rape & revenge), che scatenano la furia omicida dell'assassina (vista in faccia sin da subito), un'assassina che fa della follia e del delirio omicida femmineo virtù, la dama rossa di miragliana memoria (ma anche di roeghiane rimembranze alla
Venezia un dicembre rosso shocking), che indossa le scarpe rosse di
Tenebre, con il volto ceruleo e il ghigno spettrale della Calamai di
Profondo rosso (straordinaria, in questo senso, Aurélie Godefroy, quintessenza della pazzia muliebre con una mimica facciale di impressionante inquietudine e nevrosi psicopatica), che gira in stradine notturne argentiane e tra corridoi alla
Profondo Rosso a fare a pezzi e mutilare donne lascive e corrotte.
Dallo score similgobliniano dei Double Dragon, alla fotografia di Anna Naigeon (che interpreta la disinibita e sensuale veggente Anna Maria), il duo (zeppo di umori cinematografici) ha il tempo di ossequiare anche il Roman Polanski di
Repulsion, con gli incubi erotici dell'assassina, che si vede mani maschili sbucare dalla parete e ghermirla come se volessero strapparle la faccia.
Eppoi il finale sulle rotaie, un colpo di genio inaspettato e bizzarro, beffardo e truce quanto crudele e inatteso presagio di morte (dove, poi, tutto torna).
Cogliere tutti gli altri omaggi alle pellicole è impresa ardua (visto che il film vive, sostanzialmente, di quello, pur avendo una sottotrama che non è solo mero esercizio di stile), si va dalle bambole della
Coda dello scorpione, all'occhio sbarrato di
Profondo Rosso (così come Angela che si incammina nel corridoio nell'appartamento della vittima e l'assassina che si nasconde) lo stupro e la testa della bambola che cade a terra come in
7 Hyden Park, ai nomi dei protagonisti (Giulio Sacchi, Alexandra Cozzi e l'ispettore Fulci), al delitto alla finestra (con tanto di gola recisa) e i cromatismi di
Suspiria, all'assassino senza volto (che appare nell'incubo di Angela) delle
Sei donne per l'assassino; all'assassina che compare alle spalle della chiromante come in
Tenebre, ai volti scarnificati sullo stile dei Lucio Fulci presenta, alle visioni ercoliane di
La morte accarezza a mezzanotte.
I pedinamenti argentiani (il rimbombare del rumore delle scarpette col tacco è musica soave), occhi sbarrati sulla paura e sull'ignoto, o occhi perforati che rigurgitano lacrime fulciane di sangue, il must onirico erotizzante della seduzione saffica "specchiata" in ascensore con i capezzoli accarezzati e "compressi", gli zoom fulciani sui PP, i rasoi luccinati pronti a colpire, gli split screen depalmiani, l'insistenza sugli autoreggenti e sulle scarpine con delizioso feticismo, i delitti efferati e così visceralmente e indissolubilmente fulciani, le passioni lesbo represse, l'orgia nell'appartamento, i traumi argentiani che scatenano la follia delittuosa, evirazioni a colpi di pistola come nel più truce dei rape & revenge, gli occhiali cormaniani che vedono "oltre", macabre visioni di morte, l'odore acre della femminilità perversa, gli ascensori, i corridoi le vasche da bagno, i seni profanati, le gole squarciate, i volti devastati, il sangue che cola e zampilla in un pot pourri ammaliante e invitante, vero e proprio atto d'amore fatto da due fanatici del (de)genere e rivolto ad un pubblico di altrettanti , nostalgici, fanatici.
Belli splatterosi gli sfx di David Scherer e bellissima la canzone
Dragon Fly composta dai Double Dragon.
Meno studiato e "glamour" di
Amer, ma forse più sincero e viscerale. Ma per chi si è estasiato con
L'étrange couleur des larmes de ton corps, la visione e quasi d'obbligo.
Pazzesche le dediche sui titoli di coda che vanno da:
Marilyn Chambers
Maurizio Merli
Mario Bava
Marisa Mell
Sergio Leone
Marc Porel
Henri Verneuil
Don Siegel
e AL GRANDE Lucio Fulci (testualmente)
E ai ringraziamenti tra i più disparati:
Dario Argento
Yukio Noda
Brian De Palma
Emilio Miraglia
Roman Polanski
Abel Ferrara
Enzo G. Castellari
Philippe Labro
Florinda Bolkan
Clint Eastwood (sic!)
Anita Strinberg