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Discussioni su Alexandra's project - Film (2003)

DISCUSSIONE GENERALE

3 post
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  • Raremirko • 31/12/15 00:50
    Call center Davinotti - 3863 interventi
    Più che buono; De Heer ci sa fare con le atmosfere (si veda Bad Boy Bubby) e qui sfrutta al meglio ciò che ha: location casalinga, vari bravi attori, musiche indicate, trovate sadiche e perverse, la co-produzione di Procacci.

    Inquieta sin dall'inizio e, sino ad un certo punto non si sa se sorridere od inquietarsi; qualche discrepanza (anche nel finale) ma è senz'altro un film riuscito, che recupera qualcosa dello stile di Brad Anderson o persino di Fincher (qualche elemento di The game).

    Con poco si può sempre fare molto; buono anche il doppiaggio (Luca Ward doppia Gary Sweet).

    Un thriller atipico riguardante una profonda crisi morale che da troppo tempo interessa tutti e dappertutto.
  • Buiomega71 • 14/01/20 10:56
    Consigliere - 27155 interventi
    Ciò che l'occhio non vede-L'introspezione della visione.

    Autore particolare e amante delle sfide "impossibili" : La stanza di Cloe (una cameretta e una bambina che si finge autistica), Balla la mia canzone (una vera ragazza disabile amata da un uomo "normale"), The Tracker (anomalo western aussie sulla caccia ad un aborigeno), de Heer mette in scena "scene da un matrimonio" direttamente sputate dall'inferno: un marito in poltrona, comodamente seduto, stà per ricevere un regalo molto particolare dalla moglie, una moglie che vedrà solo in tv tramite una videocassetta (Aprimi papà, guardami) e che spiattellerà segreti fino ad allora inconfessabili, in una folle vendetta ginecea radicale, forse eccessiva rispetto all'offesa, ma che è un saldo pugno nello stomaco, tra le pianificazioni vendicative femminili più terribili e crudeli che io ricordi.

    Dopo un bellissimo piano sequenza tra le villette del luogo residenziale di Adelaide, de Heer fa montare la suspence per qualcosa di strano che stà per accadere in quella casa fortificata da sistemi di sicurezza, qualcosa di malato, di morboso, di sconvolgente, di terribilmente inaspettato che stravolgerà la vita (fin quì tranquilla) familiare da mulino bianco del manager, un maritino che pare la quintessenza del benessere e della middle class australiana, con quell'aria a metà tra Dennis Quaid e William Shatner.

    Un televisiore Sony, un vcr, una telecamera, l'occhio che scruta imperturbabile, ciò che l'occhio non vede (e non ha mai visto) si palesa davanti all'uomo nel pieno del suo orrore.

    La moglie Alexandra, la bruttina stagionata, remissiva e anonima, è in realtà una Linda Lovelace sboccata e ninfomane, portabandiera di un femminismo eccessivo e distruttivo, bella di giorno ora puttana, ora pornostar, ora mistress, implacabile angelo della vendetta che annienterà il maschio alfa, prima solo un corpo da usare ( secondo la sua ottica), ora una silfide vendicativa che non ha alcuna pietà.

    Guardando a certo Bergman, con un'occhio ad Haneke e l'altro a Cronenberg (pare un Videodrome intimista nel tinello di casa), de Heer da vita al suo impietoso kammerspiel matrimoniale, dove l'uomo è costretto a guardare , fino in fondo, l'inesorabile piano vendicativo della moglie, fino alle estreme conseguenze.

    Una guerra tra i sessi che non fa prigionieri nè tantomeno sconti, cominciando con un fitizzio tumore al seno, per poi proseguire tra cetrioli, dildi, dita infilate nel "tunnel dell'amore" (e così che Alexandra chiama il suo sesso), giocherellando con i propri seni, infastidita dagli assalti sessuali del marito, che vede in lei solo un corpo e non una donna bisognosa di affetto e comprensione (Hai sposato il mio corpo), dell'abbreviativo di Alex (Mi chiamo Alexandra, detesto quando mi chiami Alex), fino all'estremo, quando una mano lasciva di un uomo comincia a palpeggiarle il seno, lei che si infila il dildo, eppoi l'agghiacciante risvolto dell'atto sessuale da tergo, che fa crollare il mondo addosso al povero maritino, fino ad arrivare a negarle , per sempre, la vista dei due figli.

    Terrificante nel suo incedere, noi, con lui, siamo curiosi di vedere quella vhs, e seppur usando rewind, fastforward, pause, e , ogni tanto, spegnendo il televisore, la morbosa curiosità ci spinge a mettere ancora in play, finchè il telecomando non funziona più, e dalla registrazione si passa-sorprendentemente-alla diretta.

    Un gioco di ruolo che diventa man mano un infernale gioco al massacro, con spizzichi da thriller claustrofobico (prigioniero in casa propria), fino alla verità nuda e cruda, dove non si capisce più chi ha ragione o chi ha torto (lei che si sentiva usata e abusata dal marito, fino all'annientamento del suo io, o lui che si comportava come un marito sessualmente attivo, ma che amava comunque sua moglie), e de Heer, così facendo, destabilizza, disorienta, creando un corto circuito psicologico e mentale che lascia aperto un dubbio: chi dei due ha realmente ragione? Chi è davvero la vittima e chi il carnefice? Il marito esprime solo il suo desiderio di sesso verso sua moglie ( forse irruento, come la penetrazione di oggetti o del dito che " infila dentro di lei", ma se non la guardasse più nemmeno sotto quell' aspetto le cose sarebbero andate diversamente?) e una moglie che si sente usata/abusata, mero oggetto sessuale che mortifica il suo essere donna , forse eccessivamente, mettendo in atto una " rivincita" femminista sproporzionata, esagerata, assoluta e quasi apocalittica che annienta totalmente il "potere" maschilista nel talamo matrimoniale..

    Alexandra che sputa sullo specchio all'inizio (come se quasi si disprezzasse lei stessa), i preparativi per la festa di compleanno, le lampade senza la lampadina, il buio e il silenzio che invadono la casa, la pallottola fatta trovare nella custodia del cellulare, le serrature cambiate, la pistola puntata alla tempia, la spilla da balia infilata nel capezzolo-sequenza quasi insostenibile-, il ragazzo timido che suona alla porta in cerca di Mistress Alexandra, i filmetti porno casalinghi, la complicità del laido vicino di casa, per poi, una volta nell'abisso della sconfitta e della solitudine, lasciarsi andare masturbandosi guardando la moglie in tv che viene presa da dietro, o quel piccolo scampolo dei figli che augurano al papà buon compleanno.

    Cinema algido, quello di de Heer, ferino e snaturato, che ghiaccia il sangue (chi è davvero la donna che è vissuta al nostro fianco per anni e che dormiva con noi?), claustrofobicamente ansiogeno e torvamente teatrale, che non lascia un'attimo di respiro, che arriva diretto come un pugno in faccia.

    Quello che il fiacco e poco coraggioso Regali da uno sconosciuto (di cui rubacchia parecchio dal perfido gioiellino heeriano) poteva essere e non è stato, l'altra faccia del sesso (usato come arma vendicativa), delle bugie (la traumatizzante realtà si dipana tramite lo schermo televisivo) e dei videotape (unica risorsa per Alexandra di essere finalmente sè stessa), in uno dei film più inquietanti e sconcertanti sull'argomento e sui rapporti matrimoniali che vanno a remengo.

    Straordinaria la Buday (de Heer ebbe non poche difficoltà a trovare un'attrice che sostenesse un ruolo così complesso e difficile), che recita ignuda per quasi tutto il film, così come il suo grottesco e goffo spogliarello che apre l "ultimo spettacolo", un nuovo inizio per lei, una pietra tombale per lui.

    Quando le vhs uccidono veramente e risucchiano l'anima nel piccolo inferno domestico.

    La tortura psicologica/voyeuristica a cui Alexandra sottopone il marito ha effetti devastanti e irreversibili, molto più disturbante e sconvolgente delle macchinose splatterate dell' intera saga di SAW ( di cui in comune hanno le machiavelliche e diaboliche macchinazioni, in primis il video come ricettacolo di avvertimento/onniscienza e punizione), perché l' alone di iperrealismo che avvolge quella casa buia mette più a disagio di qualsiasi arnese tritacarne.

    Tra i film più lancinanti e lucidamente sconcertanti mai girati.

    Perchè mi stai facendo questo?, una domanda forse legittima, che solo la catarsi della "lucidafollia" femminea può avere la risposta.

    Raggelanti scene da un matrimonio che, credo, mi rimarranno dentro per un bel po'
    Ultima modifica: 14/01/20 18:52 da Buiomega71
  • Buiomega71 • 20/12/20 20:14
    Consigliere - 27155 interventi
    Palma d'oro "buiesca" per il miglior film visto nel 2020

    Perchè resta dolorosamente dentro per un bel pò, perchè è tra le vendette femminee più spietate, feroci e crudeli a mia memoria cinematografica.

    In un anno infausto come questo 2020 che stà per finire, de Heer surclassa von Trier (non nuovo ai palmares davinottici), Eggers, Aronofsky, Dumont, Ripstein (tra i possibili candidati), in questo suo sadicamente lucido e impietoso "scene da un matrimonio" sputato dall'inferno tra telecamere, videocassette, rancide feste di compleanno, case blindate di cui è impossibile trovare una via d'uscita, se non gurdare quelle immagini sul televisiore che diventano una vera e propria agonia martirizzante, mogli che non sembrano quello che veramente sono e il maschio alfa che paga (a carissimo prezzo) le sue colpe.

    Cinema sconvolgente con la S maiuscola, che non fa sconti e matura dentro come se fosse un cancro cronenberghiano o come quella spilla da balia infilata nel capezzolo della Buday.

    Sesso (laido e mercenario), bugie (ma la verità è ben più sconvolgente) e videotape (gelidamente di rara perfidia) in un mostruoso quadretto familiare che va di pari passo con il gioco al massacro fino a un finale senza speranza.

    E perchè spesso la violenza psicologica è ben più devastante di qualsiasi effetto splatter di qualsiasi violenza grafica e mai, come in questo caso, arriva dritta in faccia e ti lascia attonito e svuotato.

    Ciò che l'occhio non vede, l'annuale palma d'oro buiesca premia.






    Ultima modifica: 20/12/20 21:08 da Buiomega71