Noir crepuscolare, scarno, vibrante, di rara intensità, sospeso in un limbo che sembra venire direttamente dagli anni 70.
Pregnante e intensissima opera seconda di un regista che c'ha i numeri, dove le atmosfere fosche e umidicce del paesino canadese non sono molto dissimili da quelle dei
Ragazzi del fiume e il ritrovamento del corpo nudo (e villipeso) di Melissa non può non ricordare Laura Palmer.
Un grandioso Peter Stormare, poliziotto sui generis, perso in crisi interiori, dove perde le bave e sputa sangue, in una redenzione sofferta che lo porta a estraniarsi dal contesto "poliziesco" della vicenda.
Scandito dai passi della bibbia e dalle straordinarie canzoni spiritual sparate a tutto volume che gettano inquietudine e una forza dirompente notevole, da brutti ceffi che assomigliano a Charles Manson, da una coltre di grigiore che avvolge tutto il film e entra nell'animo, come una staffilata.
Importa fino ad un certo punto se "succede" poco o nulla, ma è come Donnelly imposta la narrazione (intimista, profonda, dolorosa, lancinante) a dare al film un tocco originale e realistico che rapisce fin dal primo fotogramma (la bellissima sequenza notturna, quasi incubotica, al ralenti, di Stormare, la Hennessy e la Plimpton sulla strada, tra le luci dell'auto della polizia).
Un piccolo gioiellino da custodire gelosamente, dalla brevissima durata e dalla grandissima profondità psicologica che lascia il segno, come il gelido ritrovamento del cadavere di Melissa e la crisi di rabbia (mista a repressione) di Stormare a tavola con la Plimpton.
Da recuperare, astenersi chi cerca il solito thrilleretto canonico e convenzionale.
E' stato , per me, un colpo al cuore ritrovare Martha Plimpton, beniamina del cinema "giovanilistico" degli anni 80, dove presi una cotta adolescenziale ai tempi dei
Goonies.