Folklore elvetico di ancestrale e suggestiva malia (la leggenda della Sennentuntschi, le credenze popolari) con un prete impiccato (proprio come in
Paura nella città dei morti viventi) che apre il film e scoperchia il "vaso di Pandora" dei miti e della superstizione.
La ragazza selvaggia di
The Woman (e che arriva al villaggio come l'herzoghiano
Kaspar Hauser), il degrado umano (e soprattutto sessuale) portato dalla solitudine e dall'isolamento di malghe e alpeggi sperduti (non dissimile da quello squallidamente bucolico ritratto da Fabrice Du Welz in
Calvaire), contorniato da location montanare cupe e fosche, lontane da quelle "favolostiche" dipinte da Argento in
Phenomena.
Un colpo di scena (nel profondo e occultato passato) ribalta la prospettiva della narrazione, ma Steiner resta fedele alla fola della "bambola dei pastori" (con un rituale "demoniaco" a base di ubriachezza e psichedelia), trasformando, poi, il suo narrato, in una sorta di rape & revenge sui generis, con una vendetta femminea sanguinossima (feroci coltellate, terribili ustioni) che sfocia in follia e nell'horror più viscerale (i corpi amputati trasformati in macabri pupazzi di paglia, il crepaccio con i resti umani) per poi chiudere, nel pessimismo nero come la pace, tra suicidi e scheletri appollaiati su costoni rocciosi.
Pregno di copule disgustose (il brutale e laido Erwin che sodomizza selvaggiamente la Sennentuntschi con il pretesto di insegnarle a fare il caffè, i lascivi palpeggiamenti subiti dalla "bambola viva" intorno al fuoco con i montanari sbronzi e eccitati e una doppia penetrazione ripugnante che si trasforma in uno stomachevole stupro di gruppo), di animali scuoiati e di una vendetta che non risparmia nessuno.
Fortemente anticlericale (in primis le colpe nascoste degli uomini di chiesa, che tentano di discolparsi con deliranti pseudoesorcismi e pulpiti sull'altare), di mezzo un'indagine poliziesca che tenta di mettere insieme i pezzi del puzzle (perchè la presunta Sennentuntschi assomiglia incredibilmente a una zingara morta nel 1950? Che pare si prostituisse con i pastori degli alpeggi e accusata di una strage incendiaria?) e un montaggio alternato che mescola presente e passato, fino a congiungersi nella più terriifcante delle risoluzioni.
Di incisivo magnetismo e ferinità uterina la Mesquida (che dai tour de force sui set breillatiani passa a bambola di carne costantemente umiliata e abusata), potentissimo lo score evocativo di Adrian Frutiger e la regia senza sbavature (notevole l'intro quasi da fiaba nera con la bambina in cerca di funghi come nelle favole dei fratelli Grimm) di Michael Steiner, che mischia cinema di genere a frammenti "autoriali" guardando al connazionale Alain Tanner.
Dell'affascinante, quanto inquietante, leggenda svizzera c'era già stato, cinematograficamente, un'oscuro horror con Pamela Prati (
Posseduta, uscito da noi in vhs spacciandolo come il solito erotico da discount interpretato dall'attrice sarda), ma qui, Steiner, va ben oltre la mera scopofilia voyeuristica (da notare, per esempio, gli sgradevoli nudi integrali maschili), per coniugare abilmente kidnapping movie, horror fiabesco, thriller, rape & revenge e i baratri della follia.
Da noi colpevolmente rimasto inedito.