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Commenti L'IMPRESSIONE DI MMJImpressione Davinotti

Disavventure nella Hollywood di fine Anni Venti per un ingenuo sceneggiatore dello Iowa, Lewis Tater (Bridges). Giunto nel Nevada alla ricerca di una scuola di scrittura che scopre esistere solo come caselle postali nella stazione di Tita, Lewis prende comunque alloggio in zona scappando da lì quando di notte viene aggredito nella sua stanza da un malintenzionato. Ritrovatosi in fuga nel deserto, incrocia tra le dune il set di un film western, dove fa conoscenza con la troupe e la segretaria di edizione, miss Trout (Danner). Il regista (Arkin) lo ingaggia per una comparsata, ma Lewis si fa notare accettando di girare una pericolosa scena da stunt stupendo tutti.

Stabilitosi infine a Hollywood,...Leggi tutto si guarderà in giro per trovarsi un lavoro partendo dalla gavetta, visto che in qualità di scrittore sembra non interessare a nessuno. Semplice, diretto, per nulla addentro a un mondo che spera di conquistare in qualche modo, Lewis si muove tra i set e gli uffici mentre il tizio che lo voleva derubare a Titan e il suo compare lo inseguono pure a Los Angeles non si sa bene perché. D'altra parte fa tutto parte di una storia piuttosto anonima, che sembra esistere solo in funzione della ricostruzione storica della Hollywood che sta vivendo il passaggio dal muto al sonoro (passaggio che in verità non si percepisce affatto).

Il regista Howard Zieff e lo sceneggiatore Rob Thompson puntano alla descrizione degli ambienti e dei personaggi tipici di allora, tra i quali spicca il bizzoso regista interpretato da Alan Arkin, mentre alla dolce Blythe Danner è assegnata la parte femminile più importante: con lei il protagonista stabilirà un rapporto improntato alla conoscenza più approfondita del mondo del cinema. Curioso che tuttavia, sui titoli di testa, spicchino subito dopo quello di Bridges i nomi di Andy Griffith e Donald Pleasence, entrambi confinati in ruoli assolutamente marginali (una sorta di mentore il primo, di ricco produttore il secondo), in scena per pochi minuti.

L'andamento è quello del film hollywoodiano minore esteticamente curato ma poco coinvolgente, con ambizioni di ritratto sociale e di parabola umana che vede al centro una sorta di Candido moderno, corretto con tutti, un po' fesso ma di sani principi. PAZZO, PAZZO WEST si lascia guardare insomma senza grande entusiasmo, concedendo qualche sorriso soprattutto grazie al facile contrasto tra l'ingenuità del protagonista e il cinismo imperante ai piani (relativamente) alti di Hollywood. Il venticinquenne Jeff Bridges, che nonostante la giovane età già da qualche anno bazzicava i set, è la faccia giusta ed è merito suo se il film azzecca una sincerità di fondo che potrà sicuramente piacere. Finale tuttavia banale e parzialmente consolatorio col rientro in scena del romanzo (“Hearts of the West”, peraltro anche titolo originale del film) che Lewis aveva scritto nelle pause della sua avventura a Los Angeles.

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TITOLO INSERITO IL GIORNO 15/07/22 DAL DAVINOTTI
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