Commovente e meraviglioso film girato in Indocina, il sommo vertice toccato dagli operatori Lumière, con spettacolare movimento all'indietro della macchina (Veyre gira stando su una portantina in movimento), con i piccoli che corrono sorridenti, seguendo curiosi l'operatore (col senno di poi, pare una metàfora del popolo del mondo che nei secoli andrà al cinema). Il tutto funziona in maniera sbalorditiva, anche perché le varie velocità si armonizzano bene. Le altre persone contribuiscono alla straordinaria efficacia, come i due trasportatori che avanzano in modo rettilineo. Indimenticabile.
Spettacolare carrellata indietro realizzata in un villaggio indocinese. La cinepresa sembra quasi funzionare da calamita per gli abitanti, soprattutto i bambini che la inseguono mentre arretra. E così lo spettatore europeo si ritrova totalmente calato in un contesto esotico che gli viene incontro, grazie all'effetto di intima connessione dinamica con l’oggetto della ripresa. Ben più della semplice documentazione di un paese lontano, è l’esaltazione del potere magico del cinema di unire poli e persone così distanti.
Bambini asiatici nudi o vestiti con poco che corrono dietro ad una camera che arretra progressivamente, collocata su una portantina. Gabriel Veyre riprende una scena che resta impressa nella memoria soprattutto per i volti dei piccoli, curiosi e aperti alla vita in una corsa entusiasta e innocente. Un villaggio di gente umile per una testimonianza di costume importante.
Probabilmente si tratta del primo “carrello” all’indietro della storia del cinema e questo fa aumentare l’importanza storica del documento. Non si rimane certo indifferenti nel vedere i bambini correre entusiasti dietro alla cinepresa che li riprende, pieni di curiosità e di gioia. Una dinamicità di situazione (la camera che si muove seguita dalla gente) che movimenta il breve filmato e dona una certa grazia al tutto.
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"La bambina che corre in un villaggio dell'Indocina è roba sua [di Veyre]. La ripresa ha fatto impazzire Werner Herzog, che all'uscita dalla sala si è messo a gridare: “Quella bambina sono io, quella bambina sono io!"
Bertrand Tavernier, in riferimento a questo film, in "Lumière Il cinema ritrovato", pagina 26.