I "cuori infranti" - Film (1963)

Commedia surreale sull'amore nelle sue sfaccettature più inverosimili. Nel primo dei due episodi, "La manina di Fatma", la Valeri sfodera la proverbiale verve per dar volto ad un personaggio grottesco, quello di una saltimbanca maliarda disposta a tutto pur di tenersi l'amante fedifrago, anche spedirlo in galera; nel secondo, "E vissero felici", Manfredi s'impegna come casalingo-baby sitter mentre la bella moglie batte, purtroppo non a macchina. Divertente ma non scanzonato come altre pellicole del periodo, è un film senza pretese, leggero e quasi balneare.

Due episodi piuttosto deboli - il primo si desta in qualche buon momento surreale, mentre il secondo spegne nella pochade i pochi spunti satirici sull'Italia del boom - che si appoggiano sul valore insostituibile di fuoriclasse come Franca Valeri e Nino Manfredi. Tino Buazzelli si direbbe doppiato con accento teutonico da Luciano Salce.

Il primo episodio (**!) si distingue per un'ottima caratterizzazione della Valeri nei panni di una cinica giostraia con un nano autista che si vendica del fidanzato che l'ha lasciata. Finale fulminante che ricorda il coevo I mostri. Il segmento successivo (***) è invece quello più originale, con atmosfere da boom economico per le scene balneari spensierate. Riuscito il rovesciamento pirandelliano dei ruoli sociali soprattutto per il casalingo Manfredi: il finale si pone infatti contro le convenzioni e il perbenismo.

Episodi difformi per stile, ma egualmente godibili. Fra i due svetta il primo, ricco dell'inventiva grottesca della coppia Caprioli-Valeri: impagabile Fatima che prende a fucilate il convito di fidanzamento di Giuffré divenendo poi una esilarante persecutrice; il successivo segmento, al di là di una debole satira di costume sui ruoli matrimoniali, si fa apprezzare soprattutto per la recitazione di Manfredi, fintamente bonaria, al servizio di una commedia lineare e divertente.

Bipartito in due lunghi episodi; migliore il secondo. Il primo schiacciato sulla massività monocorde di Franca Valeri risulta piatto, con un Giuffrè poco adatto al ritmo della protagonista (bella la particina di Cannavale, impiegato sottomesso). Nel secondo Scola e Maccari inventano per Manfredi una storia molto più originale e divertente, che ribalta la gravitas dell'Accattone di Pasolini, uscito due anni prima: marito felice di una lucciola affonda, leggiadro, la morale di allora ma forse di ogni tempo sul mestiere più antico del mondo.

Due episodi unite da un flebile legame tematico. Nel primo, una donna circense mette in atto tutta una serie di stratagemmi per impedire che l'ex amante sposi una ragazza ricca. Simpatico sulla carta ma fiacco alla visione, con l'aggravante di sprecare il talento aguzzo di Valeri. Va molto meglio col secondo sulla domenica al mare di una famigliola molto unita: marito casalingo, moglie prostituta e bimbo vivace. La satira contro l'ipocrisia borghese veicolata da un Manfredi in gran forma è garbata ma non per questo rinuncia a qualche graffio. Bocciato Caprioli, promosso Puccini.

Film composto da due episodi. Il primo diretto da Caprioli con una cinica Valeri e un Giuffrè non all'altezza parte bene per poi spegnersi col passare dei minuti lasciando un po' di delusione. Nel secondo episodio, diretto da Puccini, troviamo un bravo Manfredi che diverte e si trova a proprio agio con una sceneggiatura piuttosto graffiante. Di conseguenza la pellicola riprende quota.

Film estremamente diseguale. Se il primo episodio è praticamente privo di interesse, fatta salva la solita indiscutibile bravura della Valeri, nel secondo il tema è modernissimo e colpisce duro nel segno, pur utilizzando la sorridente ironia di Manfredi: la prostituzione, non solo accettata serenamente come occupazione di lei, ma soprattutto come principale fonte di reddito della famiglia, con marito casalingo. Storiella coraggiosa e intelligente sulla quale mise le mani, oltre allo stesso Manfredi, anche Continenza, storico collaboratore di Vianello.

Opera divisa in due sezioni d'incisività diseguale: quella di Caprioli appare priva di particolari intuizioni, inutilmente verbosa e tendenzialmente piatta come la cantilena da radiotaxi di Franca Valeri, che presa a piccole dosi risulta simpatica ma alla lunga può essere snervante, soprattutto quando i testi non graffiano. Decisamente più pungente l'episodio di Puccini che, partendo da un'originale idea di base, surreale ed estrema, prima taglia a fette e poi pesta con il batticarne il finto perbenismo borghese, usando come forza motrice la beffarda ironia di Manfredi.