Addio mia concubina - Film (1993)

Ambientato nella Cina dei primi anni '20, due bambini diventano amici apprendendo la durissima arte dell'attore. Vengono notati per la straordinaria bravura di Douzi nei panni di una donna interpretando un famoso dramma "addio mia concubina". Una fotografia a dir poco spettacolare incornicia la storia personale e tormentata dei protagonisti ed una cina in tumulto politico. Ottime le performance degli attori, specialmente Leslie Cheung.

Lo stallo d’un amore impossibile, incastonato in una realtà fittizia (il teatro), sullo sfondo di una Storia incomprensibile (la Cina dagli anni 20 ai 70). L’amore del cantante d’opera per il suo partner di scena (che ama una donna) attraversa i decenni, nell’esaltazione della bellezza e della fedeltà, incurante del disordine che si agita nel mondo reale e che irrompe – più teatrale e spietato dei racconti teatrali – dentro la bolla estetizzante dell’arte. Storia complessa e seducente (visivamente meravigliosa) di una pudica e sorda passione.

Uno dei casi cinematografici più clamorosi di arte (quella teatrale) mescolata alla vita. La storia cinese di un cinquantennio filtrata attraverso le assi e i drappeggi di un palcoscenico e di una rappresentazione resa eterna dalle vicende dei personaggi. Pregio assoluto del film è l'eccellente fotografia, insieme all'ottima regia e alla bella interpretazione degli attori. Forse un po' lungo ma molto suggestivo.

Un cantante d'opera, costretto fin dall'infanzia ad esibirsi in vesti femminili, è innamorato da sempre del suo partner in scena, che non lo ricambia essendo attratto dalle donne... Cinquant'anni di vita cinese, dagli anni '20 alla rivoluzione culturale, intrecciati, nella vita e sulle assi del palcoscenico, con la storia di un amore non corrisposto, fatalmente destinato a concludersi in tragedia. Superba messa in scena, fotografia calda e lussureggiante, magnifici costumi, grandi interpretazioni con Leslie Cheung di commovente fragilità: un kolossal appassionato ed appassionante.

Due attori inscenano un'opera lungo cinquant'anni di vita in Cina. Kolossal a tutti gli effetti nel quale le componenti tecniche primeggiano: sfarzo nei costumi e ricostruzioni con dovizia di particolari. Alla regia manca quel tocco che Bertolucci o Yimou avrebbero potuto dare. La storia ripercorre vicende storiche conosciute e ha il pregio di contrapporre il lato culturale (l'opera in questo caso) con la situazione socio-politica vissuta durante il comunismo cinese.

Melodramma d’amour fou, fiammeggiante, tragico, ma mai troppo sentimentalistico. Contributo essenziale di Kaige Chen alla mitopoiesi dell’anticonformismo sociale, non sempre a fuoco sul narrato - complice forse l’eccessiva durata - ma di estrema e raffinata visionarietà. Meravigliosa la fotografia di Gu Chang Wei; struggenti i primi piani di Leslie Cheung e Gong Li.