Datato dramma dei sentimenti in ambito alto-borghese anni '60, con qualche spunto interessante ma nel complesso abbastanza piatto. La Gaubert era davvero deliziosa, ma la sua noia di vivere che la sceneggiatura cerca di rendere assomiglia spesso ad una serie di capricci; è uno di quei film da guardare più per il periodo che rappresenta che non per la storia in sè insomma. Non male Ermanno Olmi come attore, comunque.
Inganni d’amore, incomunicabilità tra i giovani, noia, insoddisfazioni e conformismi borghesi nella Milano del boom: questo il quadro in cui il nipote di Luchino Visconti inserisce il suo debutto alla regia, che si dispiega in scene di vita quotidiana e dialoghi fluidi avvolti in quell’atmosfera garbatamente intimista rinvenibile in opere contemporanee o successive di Antonioni, Bergman e Rohmer. La fotografia di Lamberto Caimi è un bianco e nero morbido ed elegante e tutti gli attori, a cominciare dal navigato Romolo Valli, sono più che funzionali. Coraggioso l’epilogo liberatorio.
MEMORABILE: L’incomoda situazione in cui Valli conosce la fidanzata del figlio; le confidenze fraterne.
Qui vediamo un abbozzo di ciò che Visconti svilupperà 15 anni dopo in modo incisivo e devastante con Una spirale di nebbia, ovvero l'uomo in netta difficoltà a capire e ad abbracciare un universo femminile in perpetua eruzione (e quindi evoluzione) e in grado molto spesso di trovare una risposta a quasi tutti i problemi. Se molto diversi sono l'epilogo e anche il ritmo di questi due film, ciò che allarma è che questo problema è reale e più si va avanti e più sembra quasi un'utopia invertire o perlomeno mitigare questa tendenza, almeno in Italia.
MEMORABILE: L'incontro finale la dice tutta, ma anche le discussioni fra Valeria e Francesca sulla poca fantasia di Giampiero.
Le intenzioni del film sono encomiabili, cioè trattare un tema all'epoca grave come l'aborto inserendolo nella storia di due ragazzi appartenenti alla borghesia milanese in pieno boom economico. Nel cast un pezzo da novanta come Romolo Valli. Le basi c'erano tutte, dunque, ma Eriprando Visconti riempie il suo film, già di per sé caratterizzato da un ritmo non proprio brillante, di inutili dialoghi verbosi e intellettualoidi, che peraltro in bocca ai due protagonisti proprio non ci stanno minimamente. Partendo con interesse, il film dunque naufraga nella noia. Vedibile, comunque.
Eriprando Visconti HA DIRETTO ANCHE...
Per inserire un commento devi loggarti. Se non hai accesso al sito è necessario prima effettuare l'iscrizione.
In questo spazio sono elencati gli ultimi 12 post scritti nei diversi forum appartenenti a questo stesso film.
DISCUSSIONE GENERALE: Per discutere di un film presente nel database come in un normale forum.
HOMEVIDEO (CUT/UNCUT): Per discutere delle uscite in homevideo e delle possibili diverse versioni di un film.
CURIOSITÀ: Se vuoi aggiungere una curiosità, postala in Discussione generale. Se è completa di fonte (quando necessario) verrà spostata in Curiosità.
MUSICHE: Per discutere della colonna sonora e delle musiche di un film.
Nella splendida colonna sonora del film - ricca di suggestioni jazz e "third stream" - composta da John Lewis, fondatore del Modern Jazz Quartet, si innestano brani di sottofondo, probabilmente scelti da Eriprando Visconti insieme al compositore Carlo Frajese, utilizzato in funzione di consulente musicale. Ascoltiamo così - quasi a sottolineare lo "spleen" tipicamente lombardo del film - la poetica "Quella cosa in Lombardia", scritta da Franco Fortini e dal grande Fiorenzo Carpi, nell'interpretazione di Laura Betti e dell'orchestra di Piero Umiliani, a commento della scena in cui il protagonista, Giampiero, abbandona la stanza dove ha trascorso qualche ora in compagnia di un'amante. E infine due brani utilizzati, come sottofondo, in funzione "diegetica", ovvero "Seul", cantato da Jean Sablon - chansonnier degli Anni '30 - quando Giampiero e Valeria, in fuga a Sori, ascoltano un disco nella casa al mare ("Erano dischi di mia madre...", dice Giampiero) e il divertente e grottesco pseudo-carioca "Napoleon" - nella sequenza del party finale - cantato dai The Latins, quartetto romano attivo, nei primi anni '60, nel campo delle cover di successo.