My joy - Film (2010)

La diritta via è smarrita. La Russia selva oscura: a incamminarcisi si fanno i conti solo con degrado, squallore, miseria, bruttura, violenza, laidume e peggio. Non è tanto l'indisponente visione manichea (al punto da buscarsi da più parti l'accusa di mera propaganda nazi-ucraina) e cinica (da notare il titolo) che Loznitsa perpetra per ben due mattonesche ore a far sentire disarcionati dall'opera, quanto il perseguire una struttura astrusa e lambiccata che rende impossibile ogni tentativo di accesso e di fruizione in un film fiero d'essere un polpettone di cemento, apologia dell'interlocutorio, un Inarritu in coda al Sert.

Un racconto di voci soliste in successione narra la realtà (a)storica, pur nel tempo, dei meandri dell'impero. Capsule di vacuità e ferocia quelle di Loznitsa, successioni di atti che sembrano già accaduti prima di materializzarsi sullo schermo, nelle distese di strade, boschi e campi in cui non è mai risolutore il susseguirsi della fatalità. Uno scandire di piani sequenza e pedinamenti, alle spalle dei personaggi o al loro fianco. L'unica presenza costante è quella del protagonista, un uomo che ha perduto la parola, essere errante nella distesa dell'irrimediabile.