Buiomega71 • 29/10/22 11:23
Consigliere - 27408 interventiIl referente principale per Rifranti sembra essere il Cronenberg ballardiano di
Crash (l'ossessione sessual/morbosa per il mutamento del corpo post incidente stradale, la schiena deturpata di Nadia, il torbido e esclusivo rapporto a tre dettato dal procurarsi dolore e ferite), che immerge il tutto in un contesto squallido e alienante (il primo dovuto alle riprese digitali di bassa qualità, il secondo una Milano spettrale, sfuggente, inospitale e astratta) che ne aumenta il degrado psichico e il disagio (lo stesso che vivono i tre protagonisti Nadia-ex spogliarellista-,Massimo-professore di storia- e Paola-la più sensibile-).
Video (su vhs ringuniane) e sessioni di body art estrema non simulata (il film si apre, dopo che un'infermiera lava il corpo nudo e esanime di Massimo, su immagini sgranate di uncini e aghi che perforano la pelle e la carne, con parvenze di un'operazione chirurgica, e un canto gregoriano in sottofondo che ne amplifica la sgradevolezza) diapositive e filmati sulla guerra dei Balcani dall'aspro e necroforo sentor di "mondo movie", pantomime di esecuzioni capitali, tagli , incisioni e scorticamenti (l'interno coscia martoriata con cocci di vetro minuscoli), una messa in scena eyeswideshutiana (e quasi rolliniana) con Nadia mascherata che si "lacera" il corpo con le spine di un mazzo di rose rosse, fino all'esplosione finale (e inaspettata) della follia femminea (la battaglia scherzosa dei cuscini che finisce nel peggiore dei modi)
Di mezzo scrutinamenti di showgirl, sesso occasionale e performance (dal vivo) di corpi appesi da uncini e fatti gravitare (dimenticarsi di quella porcata di
Shadow hours)
Rifranti ha coraggio nel mettersi in gioco nel suo battesimo di fuoco dietro la MDP (il film, all'epoca si beccò il divieto ai 18-non del tutto ingiustificato, anche solo per il tema sconcertante e l'atmosfera malata- e dopo una fugace uscita nei cinema ben due anni dopo, sparì nell'oblio finche la benemerita
Oblivion non lo ha ripescato dall'oblivion, appunto), rifugge la spettacolarità e l'extreme fine a se stesso per una narrazione sospesa, incubotica, lenta e astratta, come è lenta la discesa negli inferi esistenziali dei tre protagonisti, che cercano di diventare una persona sola, includendo il sesso, l'amore e la malsana passione per l'autolesionismo.
Ma le ambizioni (anche meritevoli) di Rifranti franano sotto il peso della pseudo amatorialità (la fotografia in digitale è terribile, gli interni miserissimi) che ne limita il potenziale, nonostante il trio di attori sia notevole (sopratutto Micol Martinez, che mette i brividi nel suo disturbo bipolare), con tempi morti invero noiosetti (il rapporto tra Massimo e sua moglie Claudia-la lettera-), l'eccessiva ossessione di Massimo per la guerra nei Balcani e quella patina fastidiosa di filmetto girato la domenica pomeriggio tra amici.
A Rifranti , comunque, va il merito di aver realizzato un'opera scarna, amorale e fuori dagli schemi e, almeno, in un momento (i tre che ripercorrono, di notte, il tratto stradale che li aveva visti coinvolti nel tragico sinistro che li ha uniti, chiudendo gli occhi come Battisti cantava "a fari spenti nella notte per vedere se poi è tanto difficile morire") crea vera inquietudine e malessere. così come il gioco della morte a tre nel salone dell'appartamento e l'inaspettata, nochè agghiacciante, scelta finale di Nadia.
Tra gli esordi più interessanti del cinema indipendente italiano (il titolo, poi, è bellissimo), forse più per l'idea paracronenberghiana delle ossessioni corporali che per l'effettiva (e poveristica) realizzazione.
Buiomega71