Buiomega71 • 2/08/18 10:46
Consigliere - 9 interventi Sadisterotica-L'estate torbida dello tio Jess
Intriso di malia ipnotica, dominato dalla devastante bellezza di Lina Romay appena diciannovenne, che tutto fagogita e tutto sovrasta come una dea dell'olimpo (scatenata, smaniosa, ninfomane, perennemente vogliosa, con il suo sesso folto e umido sempre-o quasi-aperto a esperienze sessuali, sia etero che lesbo, sia strofinandosi sulla tastiera del letto per poi fare all'amore con il cuscino, che-come una novella Spermula o come farà, in maniera meno sfacciata, Mathilda May in
Space Vampires, prosciugerà le sue vittime dalla linfa vitale, dai loro umori sessuali, che siano essi liquami vaginali o sperma, per poi copulare con il cadavere il estasi necrofila)
Se Lina (già dall'incipit che avanza verso la MDP , tra le nebbie fiabesche di un bosco incantato, guardando in macchina indossando solo una mantellina nera , un paio di stivaloni da dominatrix, una cintura con seno e sesso in vista-quest'ultimo accarezzato dal voyeurismo franchiano fino all'idolatria-) domina la pellicola dal primo all'ultimo fotogramma, con i suoi sguardi languidi e il suo corpo sempre in fregola, da par suo lo tio Jess la segue, la tampina, la ama, la venerea , l'adora, esaltando, feticisticamente, ogni centimetro del suo corpo.
Squarci surreali di gran cinema (l'inizio con Irina che pratica sesso orale al contandino davanti ad una gabbia per polli, l'evirazione, la musica estasiatica-pezzo non composto da Daniel Whaite- l'urlo che si estende fino all'isola di Madera-non luogo misto di arcano e magia prettamente franchiano, la seduzione tra Irina e Jack nell'hotel deserto tra tavolini e scalinate, la giornalista di Anna Watican, nuda, indossando solo un paio di stivali bianchi stile
Batton Story che, postmortem, segue Irina tra le brumose foschie boschive di un'altra dimensione, dove mi ha riportato alla mente l'incipit oniricheggiante de
La stagione della strega, la parentesi BDSM lesbo con il cadavere incatenato e seviziato di Gilda Arancio, dove la Mistress di Monica Swinn fà scudisciare Irina-che non indossa più gli stivaloni ma scarpette nere con il tacco adornate da un cinturino- dalla sua "kapò" Alice Arno, Irina che si immerge nella vasca di sangue da provetta Erzsébet Báthory che nulla ha da invidiare all'episodio borowczykiano dei
Racconti Immorali, e dove l'acqua rossa e insidiosa la penetra d'appertutto) che avvolgono come un onirico sogno/incubo ad occhi aperti.
Franco se ne sbatte del sangue e del comune vampirismo e a sprezzo del ridicolo (Irina sbatte le braccine avvolte dalla sua mantella nera per trasformarsi in pipistrello e volare sui cieli diurni di Madera, l'uccellino a mò di stemma della Rolls), la sua vampira succhia l'iquami sessuali (e non sangue), non teme la luce del giorno e prende il sole , si fà intervistare da una procace giornalista in due pezzi (Anna Watican), in una bizzarra conversazione muta (Irina non parla, sono i suoi pensieri a farlo per lei), dove la giornalista deve interpretare i cenni del capo della sua enigmatica interlocutrice (e, inaspettatamente, tutto d'un tratto, parte
Je t'aime... moi non plus), per poi insinuarsi nei suoi sogni, fino all'incontro lesbo tra seni che si premono sui seni, folte vulve, urla di piacere e di dolore. Così come Irina eccita il suo servitore/energumeno, pastrugnandosi e infilandosi il dito in bocca, sempre più irrefrenabilmente vogliosa, sempre più impudica, sempre più porca.
Se la magia franchiana ammalia e seduce in alcuni momenti a dir poco straordinari (come non sottolineare lo zoom sul taglio degli occhi , i fuori fuoco, tipicamente franchiani), altre volte ci si inceppa nel tedio e nel ripetitivo che rallentano il piacere della visione (ammetto che la Romay in fregola perenne mi ha procurato attimi di eccitamento)
Le pessime (e anche mal girate) sequenze erotiche (terribile quella con il massaggiatore dell'albergo, che sfocia in una fellatio oltre i limiti dell'hard, con il pene tristemente in stato "barzotto" mentre la Romay se lo stantuffa in bocca), romanticherie d'accatto (Jack e Irina nel bosco), Jess Franco inguardabile medico legale (e viscido guardone mentre Irina affoga nel sangue), il cieco dottor Orloff (altro nume tutelare franchiano) inutile e francamente (nessun riferimento a Jess) odioso (se non palpando necroforicamente la vagina di Monica Swinn cadavere sul lettino autoptico o conversando telepaticamente con Irina), i dialoghi a dir poco terrificanti (se il film fosse stato muto, come Irina, ne avrebbe guadagnato), l'atroce commento musicale di Daniel White, invasivo e cacofonico, la non sceneggiatura (ma essendo Franco un anarchico della narrazione non stupisce più di tanto)
Spesso poetico, abbagliato da schegge visivamente superlative, a tratti noioso, a volte seducente, il cinema ermetico di Franco nella sua più pura essenza
Di rara poesia il finale, con Irina che chiamata da una voce oltretombale, si incammina verso il nulla in una coltre di nebbia (così, com'è apparsa all'inizio)
E Lina Romay (che preferisco a Soledad Miranda perchè meno eterea ma più odorosa, carnale e carnosa) tutto divora e si imprime nella mente, nei sensi, negli occhi (sia nella mantellina alla famelica venusiana, sia vestita di bianco nel candore dell'impudiciza), la vampira più seducente e irresistibile che il cinema abbia mai donato.
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