E sempre difficile (se non doloroso) per me affrontare un film che parla di Betty (per i "profani" la Dalia Nera) e ogni volta che un film o un documentario parla di lei e come se mi immolassero un testicolo (la lettura di
Severed di John Gilmore e stata per me un tripudio di emozioni indescrivibili), anche per il mio costante rimando a vedere il film di De Palma, che tratta Betty come l'ha descritta James Ellroy nel suo romanzo, portandole magari "rispetto", ma stando lontano il più possibile dalla realtà dei fatti (Betty non era una prostituta come la tratteggia Ellroy).
Dopo
L'assoluzione (dove il nome veniva cambiato in Lois Fazenda) e il film tv di Pevney (forse tra i pochi film che la ritraggono in modo veriterio), ecco spuntare questo strano e bizzarro oggetto filmico che racconta di un'attrice (Kristen Kerr) a cui il regista del film (lo stesso Ramzi Abed, in un cortocircuito metacinematrogafico) le offre di interpretare Elizabeth Short in un film che è in procinto di girare: BLACK DAHLIA MOVIE.
Man mano la Kerr (che nel film si chiama Lisa Small) comincia a leggere la sceneggiatura, si trova improvvisamente catapultata in un onirico viaggio metempsicosico, come se il fantasma di Betty prenda immediato possesso del suo corpo, e l'ossessione si trasforma in carne (la stessa Lisa non riesce ad avere rapporti sessuali-come Betty-e gira con una dalia tra i capelli) sino ad un drastico cambiamento della personalità.
E mentre Lisa ripercorre la strada della Dalia nera, un serial killer misterioso uccide giovani ragazze nello stesso modus operandi dell'assassino di Betty (componendo anche le scritte con le lettere dei giornali, come fece l'aguzzino di Betty).
Il film prende così la piega dell'incubo ad occhi aperti, che stà tra David Lynch (apertamente citato in una costa di un libro), Kenneth Anger e il noir torbido dalle atmosfere anni 40,
Sprazzi horror (le bambolette a forma di Elizabeth, Lisa che si aggira come un fantasma inquieto e perduto con il grottesco taglio sulla bocca, le vittime del serial killer tormentate e seviziate nella sua oscura tana "feticcio", tra foto di Betty, pezzi organici in salamoia, seghetti che tranciano le carni, cadaveri villipesi e amputazioni, la comparsa allucinogena e spettrale del trio Peter Lorre, Fatty Arbuckle e Buster Keaton che sembrano usciti da CARNIVAL OF SOULS), lunatici scorci notturni feticistici (le scarpine con il tacco che battono sul marciapiede), strip tease, ragazze procaci, omicidi irrisolti e una Los Angeles incubotica, alienata e ben poco turistica.
Si inizia con le vere immagini del cadavere di Betty gettato tra le erbacce e si conclude in cerchio, sempre con quelle dolorosissime, ancor oggi, fotografie in un livido bianco e nero (nel film si vira in seppia).
Opera forse un pò troppo ambiziosa per i mezzi (parchi) a disposizione, che spara troppo in alto nel suo animo troppo lynchiano dei "poveri" e che risulta, a volte, colpevole di eccesso autoriale.
Ma è forse il film dove l'anima di Betty si impregna in ogni fotogramma distorto, fino a sentirne il suo unico e inconfondibile profumo, dove tutto sà di lei.
Ruolo cameo per Lloyd Kaufman (è il padre di Lisa).
Per chi come me ama visceralmente Betty (o la mia bambina come adoro apostrofarla) un passaggio obbligato (anche se sempre tormentoso e straziante), per chi, invece, cerca un "crime movie" tradizionale e meglio che guardi altrove.
E sempre (dopo trent'anni) con la mia Betty nel cuore, o come diceva lei "
Il mio cuore dolce".