L'amore trascende anche la morte in questo angosciante film di Truffaut, in cui il protagonista Julien Davenne vive ossessivamente il ricordo della moglie prematuramente scomparsa all'interno della camera verde, il luogo in cui veglia e omaggia i propri cari estinti. Più che un desiderio di morte, una ricerca dell'amore eterno, immutabile, quasi religioso domina Davenne, la cui lucida follia arriva al punto di rifiutare i vivi e la vita. Romantico e terribile, un film che non si dimentica.
Sol chi non lascia eredità di affetti poca gioia ha nell'urna... Il film più estremo, bizzarro ed eccentrico di Truffaut. Forse è anche per questo che se l'è interpretato da solo, perché la materia trattata è troppo incandescente: il rapporto con la morte. L'amore che va oltre la morte e il senso di colpa per essere scampato alla morte. Il rifugio nel passato, il mausoleo, in poche parole l'ontologia stessa del cinema. Ma l'amore per la morte non può che portare al rifiuto della vita, cioè alla morte stessa. Velatamente necrofilo con una bella fotografia.
Giornalista di provincia vive ossessivamente nel ricordo dei suoi defunti, dalla moglie agli amici morti in guerra. Il parossismo del tema (molto intrigante) sulla memoria malsana è condotto da Truffaut in una storia farraginosa ripresa da alcuni racconti di James, farcita di dialoghi letterari e recitazione finta e melensa. Programmatico e senza pathos, il film non riesce a rendere cinema il discorso di principio che si prefigge. Ridicolo che tra le foto dei morti conosciuti dall'uomo negli anni 20 ci siano Wilde e Cocteau: ma per carità!
Forse il film più complesso della filmografia di Truffaut: i sentimenti esplorati sono quelli che legano i vivi ai morti ed al loro ricordo. Il personaggio di Baye prova una sincera pietas, mentre il protagonista si districa tra attenzioni morbose (la "camera verde" del titolo è quella allestita in ricordo della moglie defunta), feticci ridicoli (la "bambola" a grandezza naturale) e chiusure verso il prossimo (l'amico disprezzato perché ha deciso di risposarsi). Ma se ci si chiude alla vita, si può parlare di amore? Volutamente irrisolto.
MEMORABILE: L'intensa, drammatica e splendidamente fotografata sequenza conclusiva, ambientata all'interno di una cappella funebre rischiarata da candele.
Mortuario, ascetico. Il rapporto tra i vivi e i defunti, denso di una letterarietà che amalgama l’intimismo di James, la nostalgia di Proust e la «celeste corrispondenza d’amorosi sensi» di Foscolo, è una lunga, sussurrata monodia: ossessione autodistruttiva per il protagonista Julien Davenne, che si annulla – talora stolidamente - nel culto dei cari estinti, e meditazione professionale per Truffaut, testimone di un cinema a più riprese votato all’infanzia o a ricordi passati che condizionano il presente con esiti tragici. Un vero incanto le file di candele accese nella “camera verde”.
MEMORABILE: L’ira di Truffaut mentre caccia il prete «consolatore di professione»; le foto dei cadaveri mostrate al bambino; le candele accese nella camera verde.
Julien Davenne (soldato sfuggito ai carnai della Prima Guerra) aspira a riunire in un solo luogo (la camera verde) le immagini di chi ha segnato la sua vita e che ora non è più (fra questi, l'adorata moglie). La camera diviene, quindi, simbolo dell'anima e di una disperata lotta contro l'oblio e la morte che tutto annienta. In tal modo, però, il culto del passato, intrappolandolo, finirà per prosciugarne i moti interiori e negargli l'amore e una nuova, possibile felicità.
MEMORABILE: La cripta con i ritratti dei morti - fra cui un nemico ucciso in battaglia - illuminati da una selva di ceri.
Una mazzata sullo stomaco. Lontanissimo da tutto ciò che Truffaut aveva girato sino a quel momento; si ritaglia il ruolo da protagonista e dirige un'opera sul tema del lutto, esasperandolo fino alle estreme conseguenze. La camera verde è una sorta di santuario, un "luogo della memoria" del protagonista, atto a commemorare la moglie e gli amici passati a miglior vita. Carico di angoscia, con una fotografia cupa e dalle scene pesantemente disperate. Truffaut non era un attore scarso, ma neanche sufficientemente bravo da far scaturire l'emozione necessaria.
Reduce di guerra restaura una cappella per rendere omaggio ai suoi cari defunti. L’argomento non è spensierato, ma Truffaut evita il lato tetro basandosi sull’effetto nostalgia e sui ricordi. Film dai tratti personali che nasconde un pessimismo di fondo e che riesce a far riflettere. A tratti sembra cada nel patologico (l’anello nella mano finta, la bambola), ma l’ascesa di questo culto prepara a un epilogo scespiriano che sottolinea come l’argomento stia a cuore del regista. Giusta la critica alle frasi fatte cristiane.
MEMORABILE: Le macabre diapositive; L’incendio in camera; L’altare con i ceri; L’ultima candela.
Il film sarà bello, suggestivo e portatore di un messaggio di grande profondità, ma è anche estremamente lento e soprattutto infarcito di dialoghi assurdamente intellettuali e finti. Una maggior semplicità sarebbe stata preferibile, perché di particolare c'erano già le tematiche e alcune scelte registiche e d fotografia. Invece Truffaut appesantisce troppo il film e in qualche modo ne rovina la visione. Lo stesso regista nella parte dell'ossessionato protagonista onestamente non convince appieno. Comunque da vedere per non perdere alcune finezze e per entrare in un tema interessante.
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Direttamente dall'archivio privato di Buiomega71, il flanetto di Tv Sorrisi e Canzoni della Prima Visione Tv (Ciclo: "La mia droga si chiama cinema", giovedì 14 novembre 1985) di La camera verde:
DiscussioneRaremirko • 7/11/18 21:26 Call center Davinotti - 3863 interventi
A dir poco anomalo film di Truffaut, pure da lui interpretato, qui in vesti spiazzanti di necromane.
La maestria del grande artista di avverte, 90 minuti passan in fretta e l'opera, in sintesi, è un dramma che ha a che fare con l'elaborazione del lutto (in maniera mooolto diversa però rispetto a un, per dire, La stanza del figlio di Moretti).
Temi molto delicati, qualche scelta discutibile, per un buon dramma con momenti ad un passo dall'horror (leggasi visite al cimitero).