Discussioni su La piccola Vera - Film (1988)

  • TITOLO INSERITO IL GIORNO 17/10/19 DAL BENEMERITO BUIOMEGA71
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    Buiomega71

DISCUSSIONE GENERALE

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  • Buiomega71 • 17/10/19 11:00
    Consigliere - 25999 interventi
    All'epoca della sua uscita destò un certo scalpore (fù il primo film sovietico senza peli sulla lingua e sfacciatamente realista, che tratteggiava madre Russia come una landa di derelitti dalle famiglie disfunzionali, dove ci si ribellava del giogo del regime comunista e le ragazze fumavano, scopacchiavano in giro e prendevano come modelli i miti americani del sesso, droga e rock n roll), visto oggi fà quasi tenerezza, in questa sua commistione tra il cinema di Emir Kusturica, quello proletario di Ken Loach e il neoralismo alla Maurice Pialat (la famiglia di Vera, un covo di matti, sembra presa a modello di quella della Bonnaire de Ai nostri amori)

    Al tempo salutato dalla critica come un mezzo capolavoro (Ciak le affibbiò le proverbiali tre faccine sorridenti sinonimo di "questo è cinema", Il Mereghetti e Il Morandini viaggiano sui tre asterischi), e in realtà un filmetto assai sopravvalutato, figlio dei suoi tempi e pompato da una critica che ci aveva visto un modo nuovo di fare cinema nella terra di Tarkovskij (oggi drasticamente sorpassato, vieppiù dal dogma vontreieriano), zeppo di dialoghi (caotico nella sua logorrea) e di liti, di insulti (il padre appella spesso Vera come "vacca"), di zuffe, di incomprensioni, di bisticci che degenerano in tragedia (la coltellata a Sergei), di tentati suicidi, in una famiglia popolare che vive nello squallore di una biccoca, una "casa di matti", dove si assumono le fattezze di una sitcom da bassifondi, con figlie menefreghiste che pensano solo ai divetimenti e agli uomini, padri ubriaconi e brontoloni in preda ad attacchi rissosi, madri distrutte dal lavoro in fabbrica, fancazzisti pronti a farsi mantenere dai futuri suoceri pur di non lavorare, e sullo sfondo i casermoni popolari, le ciminiere delle fabbriche, i rottami di ferro che invadono le rive marine, le feste notturne che si trasformano in risse (con intervento della polizia), i terribili videoclip passati in tv, le stanzette disadorne, i miseri ospedali e i tristi commissariati di polizia, i moli che ospitano i relitti delle navi, un picnic riconciliatore sulla spiaggia, che diventa l'ennesimo disastroso battibecco, le scarpette con il tacco e le calze a rete, la voglia di fuggire via dalla noia, dal grigiore e dall'apatia di un paese che poco offre alle nuove generazioni.

    La lunga durata non penalizza il travaglio della giovane Vera, che passa dal bighellonare con la sua amica del cuore nei bar, fino ad innamorarsi di un lazzarone senza arte nè parte, per poi ricominciare (una volta tornata a casa) le solite pantomime familiari a suon di bisticci e tumultuose beghe tutte in famiglia (come quando il bel Sergei viene invitato a pranzo dai genitori di Vera, dove i convenevoli di facciata dureranno assai poco).

    Divertenti e cinici alcuni dialoghi (soprattutto quelli del padre di Vera, un ottimo Yuriy Nazarov, sempre in canotta, che finge infarti, si lagna, distrugge lavandini e si preoccupa del buon nome della sua disastrata famiglia), botta e risposta al vetriolo con moglie e figlia.

    Ma il vero punto focale è Natalya Negoda, vero e proprio vulcano in eruzione (un pò come la Emily Lloyd di Vorrei che tu fossi quì, con quella vaga somiglianza fisionomica a Neve Campbell) che dà a Vera una fiammata passionale e travolgente, di una vitalità quasi contagiosa.

    Non male le orecchiabili canzonette sovietiche che si sentono per radio o sullo stereo della ragazza e tra i poster nella sua stanzetta (oltre a cantanti nazionali) fà capolino la foto di Roy Scheider e Meryl Streep in Una lama nel buio e il tratteggio (a volte sopra le righe) di ogni singolo personaggio.

    Ma alla fine risulta un operina leggera leggera, che racconta il nulla in fondo, salutata come la rivelazione del nuovo cinema sovietico che, vista oggi, lascia pochissimi segni, scivolando addosso senza fare troppo rumore e che si dimentica quasi subito.

    Vasili Pichul, che sembrava promettere bene, è ricordato solamente per questo film (realizzato all'età di 27 anni) e si presentava (sempre per la critica del tempo) il nuovo cantore del cinema sovietico, poi finito (prima della prematura scomparsa) in una bolla di sapone.

    Ottimo, al contrario, il doppiaggio italiano, con Yuriy Nazarov doppiato da Omero Antonutti
    Ultima modifica: 17/10/19 17:37 da Buiomega71