Buiomega71 • 29/05/21 10:19
Consigliere - 27197 interventiSamantha Lang atto terzo, ovvero, una delle registe più talentuose e personali (e a cui sono più legato) , questa volta, lascia la terra australiana e se ne và in quel di Parigi, per raccontare una storia densa di solitudini e amarezze, che stà tra i riverberi bertolucciani dell'
Ultimo tango e le derive parapolanskiane (si sente la mano di Gerard Brach sulla sceneggiatura), dove la bella e brava regista affronta ancora una volta amori impossibili in una cornice di decadenza e latente follia, dopo le tormentate passioni lesbo del
Il pozzo e della
Maschera di scimmia.
De
Il pozzo prende alcuni riflessi "soprannaturali" (il malocchio, la foto senza occhi) e le nature ambigue di un'amore sofferto e represso (là una zitella sciancata, quì un vecchio cuoco cinese in pensione tormentato da un lacerante passato) e della
Maschera di scimmia le passioni carnali (gli amplessi della Sobieski con Lespert, alcuni dialoghi forti senza peli sulla lingua tra i due), abbandonando la terra dei canguri (però la Sobieski è una "lupa mannara" australiana a Parigi) per i palazzi polanskiani dove i vicini di pianerottolo sono invadenti e ficcanaso, sempre pronti ad origliare e a non farsi mai gli affari propri, pronti a firmar una petizione per farla cacciare, colpa dei suoi orgasmi un pò troppo "rumorosi" (quando va bene, e non tentanto viscidi e laidi approcci che potrebbero mutarsi in uno stupro, se non fosse per una bottigliata sulla testa che frena le pulsioni animalesche di schifosi e cicciosi coinquilini repressi), che siano coppie malmesse, acide portinaie o perfide bambinette che portano a spasso il loro cagnolino solo per trafugar lettere e inventarsi cattiverie.
E visto che c'è, miss Lang, rende palese omaggio all'
Inquilino polanskiano nella sequenza onirica nell'incubo della Sobieski, riprendendo l'attimo surreale del sogno orrorifico di monsieur Trelkowsi , con gli inquilini appoggiati sui balconi nell'ultimo spettacolo della Sobieski, tra spizzichi teatrali, bagliori pseudohorror e valzer rancidi/grotteschi.
La Sobieski si fà carnosa e sanguigna (girando quasi sempre a piedi nudi, a parte le eleganti decolette rosse) lunatica e sociopatica, e la Lang le scrolla di dosso i tratti da "final girl" americana, mostrandola nuda (anche se controfigurata) o a farsi il bidet mentre parla con il suo amante, complessa, gelosa e preda a repentini cambi d'umore che sfiorano la follia femminea, tra succhiotti sul collo e morsi, innondata di cinismo e slanci di odio, dove influenza l'anziano e solo cuoco cinese (straordinaria l'interpretazione di James Hong), assoggettandolo a "schiavo" personale, che la cura come una fosse una figlia, sopportando anche l'umiliazione (il momento in cui le porta il vassoio nell'appartamento e la trova a letto con il suo boy, trovandosi così, malauguratamente, a "servire" anche lui), fino ad un finale amarissimo, per colpa di una bimba ficcanaso, bugiarda e diabolica (per la Lang pare non esista il concetto di innocenza).
Raffinato, seducente, ammaliante, immerso nella fotografia sensuale di Benoit Dellhome, nelle note carezzevoli di Gabriel Yared, negli interni claustrofobici e maleodoranti (che, a volte, ricordano il Visconti di
Gruppo di famiglia in un interno, il vecchio Lancaster come il signor Zao, la passione per la giovane ragazza "della porta accanto" che le regala ancora uno sprazzo di vitalità), nella facciata del palazzone anonimo, negli scorci notturni di una Parigi poco ospitale (il tassista che teme che la Sobieski le vomiti sul sedile posteriore, la foto rubata fuori dal teatro, beccata dalla polizia), ai tristi e disturbanti attimi alla casa di riposo (Zao che, di notte, chiama disperato la sorella morta davanti alla cariola rovesciata, la vecchia che gira tutta nuda nei corridoi), ai rancori mai sopiti, alle gelosie, alle invidie di piccole serpi, agli interni orientaleggianti nell'appartamento di Zao, ai dolcetti avvelenati fino all'amarezza del vuoto della solitudine. E ogni personaggio ha qualcosa di storto dentro, che sia la rabbia, l'invidia o la repressione che cova sotto la cenere.
Il cinema pregno e viscerale di una regista che in soli tre film non ha sbagliato un colpo, dalle ossessioni de
Il pozzo, alla morbosità della
Maschera di scimmia fino alle decadenze teatral/polanskiane dell
'Idolo, che in comune hanno il lacerante tema dell'amor sofferto di personaggi soli o borderline, che siano zitelle zoppe, investigatrici lesbiche o saggi cinesi innamorati di giovani squilibrate umorali.
Bellissima, poi, la sequenza delle offese (vecchio verme guardone e impotente) che la Sobieski vomita addosso a Zao, e la reazione di lui.
Da noi uscito direttamente in dvd, merita una riscoperta per chi cerca un cinema intimo e sommesso, squarciato da attimi di cinismo e sgradevolezza, ma anche di slanci poetici di rara delicatezza (su tutti l'adorazione, quasi feticistica, di Zao di come si prende amorevole cura della camicia da notte di Sarah).
E come James Stewart nel cortile hitchcockiano o Polanski nella finestra di fronte (con leggiadre infarciture kieslowskiane), Zao scopre la bellezza del suo "idolo" in un tenero e discreto atto voyeuristico.
Buiomega71