L'ora del lupo - Film (2019)

Pretenzioso esercizio di stile girato quasi interamente in una stanza che serve esclusivamente come one-(wo)man show della Watts, qui irriconoscibile ma senza dubbio brava nel ruolo; il resto è solo una serie di input lanciati nel vuoto che non vanno a finire da nessuna parte, sullo sfondo della "estate di Sam" nel 1977, intuibile solo dalle notizie alla radio e da qualche breve dettaglio. Un film in cui non succede pressoché nulla, con brevi dialoghi non particolarmente profondi e un finale che - dopo tanta attesa - lascia basiti.

Scrittrice da tempo ha rotto i contatti con il mondo e si è barricata nel suo appartamento in un quartiere popolare di New York. L'anno è il 1977, il gran caldo estivo fa impazzire le persone, le strade ribollono di violenza, il blackout cittadino è alle porte: ecco apparecchiato un Armageddon in miniatura con Watts in campo con un impegno degno delle migliori cause, in larga parte sprecato in un questo film d'ambientazione covidiana che fatica a mantenere desto l'interesse: poco interessante il personaggio e pretenziosa la sceneggiatura con tanto di palingenesi finale. Perdibile. 

Incapace di produrre alcunché dopo il successo del romanzo d'esordio, June Leigh (una meravigliosa Watts) vegeta depressa nell'appartamento di sua nonna nel South Bronx, nella torrida estate del 1977 segnata da disordini sociali e dalla psicosi per le azioni del serial killer Son of Sam. Improvvisamente, qualcuno comincia a citofonarle... Quello di Griffin è un thriller claustrofobico quasi respingente nella sua immota cripticità, che vorrebbe ammantarsi di autorialità ma che spesso, invece, risulta noioso più che destabilizzante. Un'occasione mancata, con un finale anticlimatico.

Una scrittrice in crisi di ispirazione si rinchiude, nella calda estate del '77, in un appartamento di un quartiere di New York in attesa di non si sa bene cosa. Agorafobica, egocentrica e anaffettiva, vagola tutto il tempo per casa, strumentalizzando quei pochi con cui viene a contatto, mentre fuori monta un'ondata di violenza. Una narrazione pretenziosa e claustrofobica che invano cerca di attrarre simpatia o condivisione nei confronti di una personalità fuori di testa e una problematica incomprensibile che lascia perplessi sul messaggio che vorrebbe comunicare. Lungo e noioso.

Malgrado la vicenda si svolga in un monolocale e con ritmi lenti, la regia, grazie anche al perno della Watts, sigla una prova coinvolgente, priva di fronzoli e scorciatoie, intrisa di suspense nonostante un proprio minimalismo di fondo. Le relazioni sociali della protagonista, una scrittrice in crisi e preda di agorafobie, sono ben costruite. Siamo nella New York del blackout del ’77, intravisto nel prefinale attraverso gli occhi di June, candida e angosciata spettatrice dalla propria finestra delle violenze e ritratto del patema della bellezza di fronte allo sfacelo del mondo.