Buiomega71 • 2/04/21 10:03
Consigliere - 27344 interventi 4 storie di donne, viste dall'ottica femminile Dramma , a volte intenso, sugli affetti e i sentimenti che producono solo afflizione e tormenti, che, intinto nella quotidianità, riesce a essere rigoroso e realistico.
La Devers traccia un profilo psicologico interessante, sopratutto sulla figura della Dalle, con i suoi repentini cambi di umore e la sua instabilità affettiva che si ripercuote su quella comportamentale (di culto la scena del bagno in mare tra le onde, dove la Dalle, improvvisamente, prende paura, e il suo ragazzo Leo tenta, scherzosamente, di affogarla, o quella del costume, che da il via a una baruffa tra i due che si pigliano a botte-e non scherzano più- tra gli schiaffi di lui e i calci di lei, dove nella foga perde pure una scarpa), dovuta anche al fatto della gravidanza della ragazza, che segnerà i destini dei protagonisti (e quello di sè stessa).
Amicizia, amori, affetti, delusioni, incomprensioni, frustrazioni, incomunicabilità, sospetta omosessualità (da sculto il nudo integrale di Frappat prima di tuffarsi in mare), dialoghi spesso taglienti, su spiaggie paraferreriane aspettando che il futuro sia donna (alle registe francesi, probabilmente, piace la piccola apocalisse femminea del regista dell'
Ultima donna), dove il tocco delicato della Devers (autrice di certo spessore colpevolmente dimenticata) si muove tra le amarezze e i crucci di tutti i giorni, in una Bordeaux di inizio estate.
Il tutto visto attraverso gli occhi di una ragazzina (che quando gioca a pallone non è una femmina ma un'ala destra) non poi tanto segretamente innamorata del ragazzo della sorella, che vede il suo castello di sogni sgretolarsi piano piano, fino ad un prefinale dolorosissimo e lancinante (la perlustrazione nella palude, la straziante scoperta del suo piccolo mondo che va in frantumi, la corda, il suicidio con il gatto in spalla, il ripescaggio del corpo senza vita-insieme a quello del gatto-, la disperazione di una madre) e quel bambino tanto desiderato, che crea in Leo il complesso dell'irresponsabilità, sembra, cinicamente, non essere più un problema.
La Dalle rifà, più o meno, la sua Betty Blue (ma senza picchi di follia), la Asti nel ruolo di una madre ormai sfatta e disillusa e la Devers dona suggestive atmosfere quasi futuristiche (la stazione metereologica, la casetta costruita vicino alla palude), il tutto impreziosito dalla magnetica fotografia di Roberto Berta e dallo score ipnotico di John Surman.
Un cane ferito tra i cespugli, la Dalle che fa la pipì in un parcheggio, tra due automobili, Mimmi che, giocando Leo, le fa, per l'emozione, la pipì addosso, con improvvisa scenata e umiliazione per la ragazzina, un amico di dubbi gusti sessuali, ecografie e l'amore che marcisce piano piano (da antologia il discorso di Leo alla Dalle, su come lui non riesca a venire con lei, e non la senta più, e fare l'amore con lei e come farlo con il letto).
Passato sotto silenzio all'epoca, dimenticato e messo da parte quasi subito,
Chimere è forse più vivido e acuto di altri titoli (magari francesi) più blasonati, di una sincerità narrativa (scambiata per ambizione) davvero notevole, di una regista che non marca nemmeno poi tanto l'aspetto femminista.
Per
Il Mereghetti si ricordano solo (superficialmente) le labbra della Dalle, ma il film è molto di più di questo (tolte le orrende scarpe basse che indossa la Dalle per tutto il film).
Un'opera appassionata (pur con i suoi difetti) di vitale schiettezza.
Buiomega71