Anthonyvm • 19/06/20 15:19
Vice capo scrivano - 829 interventiIl cinema di genere in Italia sopravvive a stento grazie a piccole o medio-piccole (oppure piccolissime) produzioni indie. Se è vero che di tanto in tanto affiorano alcune gemme (
Il demone di Laplace per citarne una), i tentativi di rilanciare un genere, nella fattispecie l'horror, in cui il nostro paese può vantare un passato di tutto rispetto, si rivelano per la maggior parte troppo ambiziosi date le effettive risorse a disposizione. Il risultato è spesso mediocre, se non ben al di sotto della sufficienza. È un dato di fatto che i prodotti tecnicamente ammirevoli (viene in mente il patinatissimo
The pyramid di Alex Visani), ma essenzialmente poveri nella resa, superino numericamente le prove totalmente positive.
Quasi sempre gli avventurosi realizzatori di questi film provengono dall'underground cinematografico, ma altre volte si assiste al ritorno di nomi e volti noti che, dopo più o meno lunghi periodi di silenzio, si rimettono all'opera per accontentare la richiesta di vecchi e nuovi fan. Esempio vicino nel tempo è quello di Sergio Stivaletti col suo
Rabbia furiosa, imperfetto ma pregevole mèlange di crime e horror grandguignolesco.
Quando poi le persone coinvolte provengono dal cuore del cinema bis degli anni '80, le aspettative da parte degli appassionati sono naturalmente alte.
"Everybloody's End" vede il ritorno di Claudio Lattanzi al lungometraggio dopo più di trent'anni (il divertente
Killing birds, co-diretto da Joe D'Amato, risale all'87), affiancato dall'amico Antonio Tentori (in sede di sceneggiatura) e dal già citato Sergio Stivaletti (come effettista e pure interprete in un cameo), nonché dall'art director soaviano Massimo Antonello Geleng (
Dellamorte Dellamore, mica pizza e fichi). La vera sorpresa, comunque, risiede nel reparto attoriale, che riunisce alcune vecchie e amatissime glorie del passato: l'eroe delle morti violente Giovanni Lombardo Radice, l'indimenticabile Cinzia Monreale e la Carole di
Zombi 3 Marina Loi. Fanno parte della compagnia anche i registi indipendenti Lorenzo Lepori (in un ruolo da attore) e Ivan Zuccon (direttore della fotografia).
Con una lista del genere è lecito aspettarsi grandi cose, un viaggio sospeso fra antiche e nostalgiche atmosfere e nuovi orizzonti narrativi. Purtroppo le cose non stanno esattamente così.
Si parte in medias res: la popolazione mondiale è stata decimata da un non meglio precisato virus (l'ironia a posteriori...), e i pochi sopravvissuti devono vedersela con gli "sterminatori", orde di giustizieri intenti a debellare i presunti infetti con metodi sadici (sembrano avere una predilezione per la crocifissione). All'interno di una sorta di torre-bunker, un teologo (Radice), che ha appena perso l'assistente (la Loi) per mano degli sterminatori, raduna un manipolo di superstiti fuggiaschi, Bionda (la Monreale), Nera (Veronica Urban) e Rossa (Tania Orlandi), cui si aggiunge in seguito l'ambiguo dottor Michael (Lepori). Questi sono stati richiamati sul luogo da uno strano sogno comune, in stile
L'ombra dello scorpione, secondo quello che Radice giudica un disegno provvidenziale. Insieme dovranno trovare il modo di sopravvivere e, possibilmente, di debellare la fonte del Male che sta annientando l'umanità. Ma, fra sospetti reciproci e divergenze d'opinione, non sarà facile.
Antichi misteri, tremendi contagi, indagini teologiche... Soggetto apocalittico di una certa audacia, forse eccessiva visti i mezzi disponibili, ma lo script di Tentori punta saggiamente al "piccolo", concentrandosi sulle atmosfere claustrofobiche del bunker e tralasciando le esibizioni spettacolari di devastazione metropolitana (limitate a pochi ma pregevolissimi establishing-shot di natura digitale, per i quali gli autori degli effetti visivi meritano un applauso), fra clima tesi e opprimenti à la
Cube e un senso aleggiante di dubbio in stile
Devil (vista anche la materia para-religiosa). Il problema è che, con questo tipo di approccio da thriller psicologico, la naturalezza dei dialoghi diventa essenziale. E il livello dei dialoghi, purtroppo, si mantiene all'altezza di quelli che Tentori scriveva per Bruno Mattei nei primi anni 2000: fumettistici, spiegonati, irrealistici. A questo si aggiungano performance altalenanti da parte del cast: la professionalità di Radice e della Monreale sono evidenti, la Loi pare un po' meno sicura, mentre le attrici della nuova leva (Urban e Orlandi) non convincono proprio. Lepori, invece, è la piccola sorpresa nascosta, sfoggiando buone doti recitative, nonostante la direzione di Lattanzi improntata all'enfasi da over-drama e la qualità delle battute inficino sul risultato complessivo.
Il rischio di incorrere nel ridicolo involontario si mantiene costante dall'incipit all'epilogo, e non è raro trovarsi a sogghignare di fronte a esposizioni poco credibili e a conversazioni innaturali fra i protagonisti. A questo si deve sommare una gestione della sceneggiatura non esaltante, con una parte centrale un po' lenta e svolte narrative lasciate nella vaghezza, oltre a personaggi non sempre ben delineati. Il finale, poi, riserva una sorpresa quantomeno stravagante, non del tutto imprevedibile (in fondo è palese sin dal prologo quale possa essere la natura dell'epidemia), ma che, scomodando certi nomi sacri della letteratura, lascia sulle prime interdetti, poi divertiti dal contesto cheap in cui sono stati inseriti. Non sarebbe male se il tono di Lattanzi non fosse oltremodo serioso, il che contribuisce all'ascesa di quel sentore trash che percorreva a passo felpato il film sin dall'inizio.
Bisogna tuttavia ammettere che l'onirico post-finale, fuori contesto e dai tocchi surreali, ambientato in un cinema vuoto dove è proiettato un caposaldo della filmografia horror (che non svelo per evitare spoiler), chiude la vicenda su una nota metacinematografica per nulla scontata.
Non ci sono solo notizie negative, tuttavia: il comparto tecnico si difende su ogni fronte, dall'editing al sonoro, dai buoni movimenti di macchina all'attentissima fotografia di Zuccon, passando per l'ottima prova dei coloristi in fase di post-produzione (le tonalità plumbee e insature sono perfettamente studiate), nonché, come già detto, per l'intelligente impiego di visual effects sui paesaggi desolati (palazzi disastrati, ponti crollati, auto cadaveriche), magnificamente descrittivi senza strafare.
Gli effetti speciali, curati dal team di Stivaletti, sono di pregevole fattura, benché non abbiano un ruolo dominante nello svolgersi degli eventi (lo splatter è relegato a poche sequenze, fra cui una violenta crocefissione muraria che richiama
L'aldilà di Fulci e un cuore asportato a mani nude).
C'era del potenziale nel progetto: le buone intenzioni del duo Lattanzi-Tentori e l'attenzione al comparto visivo non si mettono in discussione, ma forse, data anche l'entità delle persone coinvolte, sarebbe stato meglio vertere sul citazionismo e sul richiamo del cinema italiano che fu, più che puntare a horror pseudo-virulenti di matrice internazionale (e quasi sempre inappaganti).
Siamo dunque di fronte all'ennesimo caso di horror indipendente dalle grandi aspirazioni e dalle scarse prestazioni. Bisogna dire che i fruitori di tali lavori (generalmente appassionati del genere) si dimostrano quasi sempre incoraggianti nei confronti degli autori, invitandoli a riprovare e a non fermarsi. Questo atteggiamento di supporto (forse un po' idealista e romantico) verso un settore ormai dato per morto, ma che conta in realtà numerosi e attivi fan, può in effetti portare a lente ma evidenti evoluzioni nel sottobosco cinematografico nostrano. Lo dimostra la recente prova di Visani,
Stomach, nettamente superiore al precedente portmanteau barkeriano, benché concettualmente meno esuberante. Sarà forse questo il segreto per un buon prodotto? Limitare la ricchezza dei soggetti restando in linea coi budget e coi mezzi a disposizione? Forse, anche se talvolta pure i progetti complessi possono sbocciare negli spazi economici più stretti se si usano gli espedienti giusti (torna l'esempio de
Il demone di Laplace). Nel dubbio, meglio riprovare e non fermarsi.
Anthonyvm
Gada, Deepred89, Nick franc