Gente spigliata e senza fronzoli, i norvegesi: devono assestarti una poderosa badilata sulle gengive? Lo fanno hic et nunc, senza smarrirsi in ghirigori ricami e altre perdite di tempo. Tempo 73' e ti servono il piatto del savage che da Deliverance ai giorni nostri abbiamo ormai assaggiato in tutte le salse e spezie, ma quando ai fornelli lo chef la sa lunga su dono della sintesi, ruthmos e rigore formale farsi imboccare volentieri della "solita" minestra è doveroso. Secco spietato cupo intenso. Finale che indulge in un'ovvietà che sarebbe stato debito dribblare, ma la ciambella ha il suo buco.
Mi piace pensare all'horror come a una sorta di teatro Kabuki, una forma espressiva che vive della reiterazione di gesti, anche minimali, in cui la disattesa di una singola aspettativa crea stupore. I cultori del genere, infatti, conoscono i meccanismi ab eterno e ringraziano chi li sa sorprendere. Syversen fallisce: le torture vanno in loop quasi fossero mille altri film remixati da un Dj flippato (cattura-tortura-rilascio-cattura) e molti clichè vengono accondiscesi (i bifolchi di Calvaire, il finale stantio, le trite dinamiche del massacro).
Poche novità ma ottima fotografia (e sonoro). Il primo quarto di proiezione riprende pari pari i dettami di Non aprite quella porta: ragazzi in vacanza col pulmino beat e primo contatto coi rozzi locali. Poi parte la danza slasher senza tanti complimenti e qualche buon frammento ma ci si cortocircuita ben presto nel prevedibile. Dal notevole risparmio di mezzi e fantasia (sempre nel solito luogo, dialoghi azzerati) emerge una biondina, la Bruusgaard, che vanta doti fisiche e di manualità col coltello. Provaci ancora, Norvegia!
Quattro ragazzi e un'autostoppista si ritrovano nel "mirino" di tre cacciatori impazziti. In fuga tra sentieri sperduti nei boschi dovranno subire violenze inaudite quanto ingiustificate. Ancora dalla Norvegia arriva un horror incisivo, duro, feroce che inizia a "menar fendenti" dopo dieci minuti, prosegue con determinata cattiveria e si chiude in maniera tutt'altro che consolatoria. La storia è riassumibile in due righe, non è certo nuova e tantomeno interessante. Ma la messa in scena, le interpretazioni e taluni colpi bassi (l'uomo senza lingua scannato e sbudellato) lasciano il segno.
Cominciamo col dire che il film è ben fatto, curato come le produzioni scandinave ci stanno abituando. Non mancano scene crude e forti che delizieranno la sete di sangue degli horrorofili. Il problema, almeno per me, sta nel fatto che questo sottogenere "survival" sembra non aver più nulla da dire a livello narrativo, per cui ci si butta più che altro ad inventare efferatezze sempre più sadiche e bifolchi sempre più repellenti. Il fondo del barile sembra insomma piuttosto vicino...
La foresta norvegese non è quel che si direbbe un posticino allegro e distensivo: se non sei un Varg Vikernes con licenza odalistica, da quell'habitat inimico non ne esci vivo (e nemmanco morto)... Vecchio e stravecchio il "piatto debole" di questo torture scandinavo dalle mence pretese omaggianti, acquosissima minestrina alla boscaiola di ciarpume sotto-craveniano e muffa venagione sgraffignata a Wrong Turn e Le mele marce. Salvo le goreografie, trama-attori-azione-sottotesti toppano in malo modo. Survival vegetale da inviare direttamente al termovalorizzatore, settore "boormangime scaduto".
MEMORABILE: Il tallone della ragazza spappolato da un colpo di fucile...
Niente di nuovo sotto il sole e dentro i boschi, ma almeno in questo caso repetita iuvant: la caccia è cruda, spietata, senza inutili perdite di tempo né orpelli narrativi, con il fucile carico di pallottole splatter. Ottima la matrice hippie, canzoncine annesse, senza tralasciare il fatto che le prede stavolta sono molto più convincenti e variegate rispetto alla media. Lo scorrere del tempo lo avvolgerà, ma la buona serata la garantisce.
Ambientazione settantiana, con tanto di pulmino Volkswagen su cui viaggiano due coppie, e pellicola vintage simil analogica, boschi norvegesi umidi e terrifici in cui spietati cacciatori autoctoni bandiscono una caccia all'uomo con i giovani malcapitati durante un tranquillo weekend. Oltre all'immortale pellicola di Boorman viene in mente il bosco di Serra di due anni prima, ma qui l'approccio è più feroce, ferale, e gratuito, senza movente, sanguinario, un gore drammatico che colpisce dritto allo stomaco perchè privo di quella vena farsesca tipica di pellicole ben più eplicite.
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Impressionante horror norvegese, concentrato in 75 ritmati e incalzanti minuti.
Le musiche sono a cura dell'inglese Simon Boswell, in tempi migliori attivo anche per horror di casa nostra.
Il brano che accompagna i titoli di testa del film, composto dal compianto musicista/attore David Hess per il ben noto rape'n revenge di Wes CravenL'ultima casa a sinistra (1972):