The head hunter - Film (2018)

Horror/fantasy basato su un unico interprete, il nerboruto vichingo norvegese Rygh; l'attore offre una prova perlopiù fisica visti i pochi dialoghi, che avrebbero beneficiato della lingua nordica. La trama è minimale e perlopiù basata su atmosfere e scenografie; queste ultime sono curate molto bene, così come le location, i costumi e i vari props. E' un film più bello esteticamente che altro; il ritmo è lento, certi snodi farraginosi eppure l'atmosfera "rustica" e medievale coinvolge, anche grazie alla durata esigua e alla fotografia suggestiva.

Ha un bel da fare il povero cavaliere solitario per soddisfare i Signori del castello, proteggendoli da mostri boschivi di ogni sorta. E quando si aggiunge anche la sete di vendetta...Pellicola che non ha molte frecce all'arco delle situazioni, ma che sfrutta piuttosto bene quel poco di cui dispone. Sembra non fare del ritmo il suo punto di forza, anche se il lento ripetersi dei gesti (l'eliminazione dell'essere, la preparazione del miscuglio e le visite alla tomba) fa sì che lo spettatore entri nel mondo di questo singolare personaggio. L'esiguo minutaggio aiuta. Riuscito.

Horror fantasy con protagonista un cavaliere alla guardia di un castello col nobile compito di proteggerlo da delle misteriose creature. Film minimale con un solo attore e senza effetti speciali, che si mette in mostra per la bellissima ambientazione e gli splendidi costumi. Il ritmo della storia non è dei più veloci e a questo bisogna aggiungere la quasi assenza di dialoghi, ma nonostante questo il film riesce a coinvolgere e l'atmosfera che si respira è davvero notevole. Ad aiutare è anche la breve durata, circa 70 minuti.

Incredibile che l'autore di ThanksKilling si sia affinato a tal punto. Con un budget minimo, Downey costruisce un dark fantasy atipico sulla vita privata di un cacciatore di mostri del Medioevo, rinunciando alle battaglie e soffermandosi sulla "banale" quotidianità del personaggio. Un one-man-show in cui il minimalismo narrativo e il ritmo lento si conciliano a un'eccezionale ricercatezza visiva e a una sorprendente cura per i dettagli, dalle scenografie ai costumi. Un'avventura da gustare nella sua elaborata semplicità, un racconto di solitudine che sfocia in un finale nichilista.

Un fantasy di stampo nordico e medioevale che vive dell’essenzialità dello scritto e dell’estetica degli scenari. Le fredde foreste e le montagne creano paesaggi affascinanti che, mescolati con l’habitus del guerriero, danno vita a un quadro d’insieme sinistro e imprevedibile. Minimali e poco significative le scarne parole pronunciate durante tutto il film che non inficiano la comprensione dei fatti né compromettono il gradimento. Malgrado nei momenti topici non si veda molto, il film riesce lo stesso nell’intento di creare un misto di tensione e attesa che tiene col fiato sospeso.

Per il suo slide medievale dalle parti del fantasy introspettivo, Downey filma un theesome tra Refn, Bergman e Barker dove l'attesa del mostro è essa stessa mostro. L'ascetismo atmosferico lascia meravigliati non meno del conturbante teratorama (massima onoreficenza all'adempimento specialeffettistico) ma avversa quella fluidificazione ritmico-tensiva che dà il la e ogni altra nota alla coibentazione osmotica con la solitudine del vendicatore. A fronte del sovraestetizzato tramezzo, per i partigiani dell'horror movimentato e teso può candidarsi in veste d'epifania o di barbiturico.