Il cinema politico in Italia

25 Gennaio 2008

In Italia il filone "politico" si consolida alla fine degli anni 60, anche se le prime pellicole di denuncia datano agli inizi degli anni 60 per merito di Francesco Rosi, il quale con due opere quasi coeve si pone come apripista del genere denunciando in Le mani sulla Città l’intreccio fra politica, speculazione ed edilizia, e in Salvatore Giuliano i (possibili, ipotizzati) rapporti tra politica e mafia. E’ da rilevare che nello stesso periodo possiamo considerare almeno una parte delle pellicole ascrivibili al genere commedia come “sociali”, ovvero critiche nei confronti della società investita dal boom che iniziava a mostrare le prime crepe e contraddizioni: il pensiero va a film come Una Vita Difficile (1961) e I Mostri (1963), entrambi di Dino Risi; non dimentichiamo poi alcune pellicole al limite, ovvero film che per ambientazione e narrazione sono inquadrabili in altri generi (come il poliziesco ed il western) ma il cui contenuto di fatto è di denuncia sociale e/o discorso ideologico: si pensi a film polizieschi come Svegliati e Uccidi (1966) e Banditi a Milano (1968), entrambi di Carlo Lizzani, o Faccia a Faccia (1967) e Quien Sabe (1966), rispettivamente di Sergio Sollima e Damiano Damiani.

Il filone sociale politico raggiunge il suo zenit in Italia all’inizio degli anni 70, ovvero quando la strage di Piazza Fontana a Milano e la morte dell’anarchico Pinelli segnano una linea di demarcazione tra una stagione che si sente ormai conclusa (i favolosi anni Sessanta carichi di promesse e speranze) e gli anni Settanta, forieri di crisi economiche e minacce terroristiche. Di queste inquietudini si fanno carico a vario titolo e con diversa intensità alcuni cineasti: oltre al già citato Francesco Rosi dobbiamo ricordare almeno altri due autori quali Giuliano Montaldo e soprattutto Elio Petri, che fino alla fine degli anni 70 sarà considerato l’icona del cinema politico per eccellenza insieme all’attore Gian Maria Volontè (di cui si parlerà in seguito). L’obiettivo di questi autori  è, in generale, portare all’attenzione dell’opinione  pubblica la stortura e le contraddizioni in cui si muove l’ancor giovane Repubblica italiana, sballottata tra le pressioni degli Stati Uniti d’America e i richiami al comunismo sollecitati soprattutto dalla parte più giovane della società. Il messaggio viene veicolato in vari modi: si va  dal pamphlet satirico di stampo quasi metafisico (Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, Todo Modo) alla rievocazione di  fatti storici che tuttavia rimandano in modo abbastanza esplicito al presente, come accade in Giordano Bruno  (1973) e Sacco e Vanzetti (1970), entrambi di Giuliano Montaldo; in particolare in queste due opere le contraddizioni fra società ed individui non allineati esplodono in modo drammatico fino all’annientamento del singolo, e viene pertanto denunciata la mancanza di spazio lasciata ad idee che non siano quelle approvate dall’establishement politico e religioso del momento.

Anche il già citato Francesco Rosi negli anni 70 fa la sua parte e gira pellicole come Il caso Mattei (film-inchiesta sul rapporto tra economia, sviluppo e corruzione), Uomini Contro (pellicola antimilitarista ambientata durante la Grande Guerra), Lucky Luciano (biografia del mafioso italoamericano che si rifugiò e morì in Italia). Tutti i film citati non a caso annoverano nel cast l’attore Gian Maria Volontè, il quale sia per esplicita appartenenza politica che per intime convinzioni personali viveva il lavoro di attore come un contributo al possibile miglioramento della società e dei problemi in essa percepiti, non di rado esponendosi in prima persona in battaglie frontali contro l’establishment cinematografico dell’epoca (famose le sue battaglie contro il doppiaggio e l’unione voce- volto dell’attore italiano).

L’uscita della maggior parte di queste pellicole suscita polemiche e dibattiti, e capita che ne venga minacciato il sequestro quando la polemica del film si rivela, almeno in apparenza, troppo vicina al tema politico del momento: è il caso di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto di Elio Petri, che rischiò il sequestro perché considerata un tentativo di satira inopportuna sulla questione della bomba di Piazza Fontana e tutto quello che ne era conseguito (ma che poi arrivò a vincere l’Oscar come miglior film straniero). A livello formale, quasi tutte le pellicole del genere si rivelano realizzate con una grande cura e abilità sia a livello di sceneggiatura (collaborano autori di razza come Ugo Pirro) che di ricostruzione degli ambienti; per quanto riguarda la resa attoriale: Volontè a parte (che costituisce un caso a sé  di totale immersione nel personaggio) nel peggiore dei casi si nota un buon livello medio di interpretazione di protagonisti e comprimari: il già citato Damiano Damiani ad esempio gira Il giorno della civetta (1967), tratto dal romanzo più conosciuto di Leonardo Sciascia; tale lavoro, se certamente non può essere posto in quanto a qualità sullo stesso piano formale e interpretativo del coevo A ciascuno a il suo  di Elio Petri (ancora una volta protagonista Volonté, l’unico “colonnello” del cinema italiano che non faceva ridere), offre un’efficace trasposizione filmica del romanzo da cui è tratto, eternando nell’immaginario collettivo la faccia pulita di Franco Nero come il capitano nordico e antimafia per eccellenza, ma soprattutto rendendo visivo e quasi proverbiale il celebre discorso mafioso su uomini, mezzi uomini e “quaquaraquà”.

Si è detto all’inizio che l’exploit del genere coincide con il decennio degli anni 70 e declina, sia pure lentamente, con l’avvento degli anni 80, i quali  a livello strettamente sociale per vari motivi segnano il ripiegamento sul privato e la parziale rinuncia alle istanze politiche sostenute in precedenza. Di questo periodo possiamo ricordare titoli quali Cadaveri Eccellenti di Rosi (1976, ancora un romanzo di Sciascia), e  Io ho paura del 1977, regia di Damiano Damiani; in generale però è percepibile una diminuzione della tensione morale che aveva sostenuto la realizzazione delle pellicole di cui si è accennato in precedenza e la conseguente possibilità di raccontare storie forti.

Per concludere il breve excursus tracciato, si può considerare un possibile epigono di tutti gli autori che in qualche modo hanno voluto “dare una scossa” all’opinione pubblica italiana Giuseppe Ferrara, che con i suoi lavori costituiti da una cronaca quasi scolastica del soggetto filmico mira a ricordare episodi recenti e recentissimi degli ultimi trent’anni: si pensi a film come Il Caso Moro del 1986 (ancora Gian Maria Volontè, che aveva già interpretato lo statista in chiave satirica in Todo Modo) e soprattutto Giovanni Falcone (1993), interpretato in maniera quasi mimetica da Michele Placido e Giancarlo Giannini.
 
ARTICOLO INSERITO DALLA BENEMERITA GUGLY  

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