Un balordo si impossessa dei documenti di espatrio di uno scrittore suicida, mentre i nazisti entrano a Parigi. Vorrebbe imbarcarsi a Marsiglia, ma l'incontro con la moglie del morto cambia tutto. Forse è un monito per lo spettatore, l'ambientazione contemporanea (location, auto, abiti) di un romanzo dei primi anni 40. E' successo, potrebbe succedere di nuovo. Ambizioso, non risolto, strano melò con pochi fremiti, un ottimo protagonista non supportato dal cast. Comunque, esibisce un'idea di cinema forte e dichiarata, il che non è poco.
Il romanzo originale è collocato all'epoca dell'occupazione nazista in territorio francese e di quello racconta anche il film, ma Petzold ha la curiosa trovata di trasporlo ai giorni nostri. Ne risulta quello che, nelle dinamiche, nella vicenda, nei personaggi, nei suoni, in buona sostanza nei modi, è un noir con un forte distacco estetico da quanto percepito a schermo (luce, ambientazione, abiti, automobili...). In questa Marsiglia che ricorda Casablanca, i sensi dello spettatore sono costretti a litigare e l'immaginazione ha il sopravvento esaltando per contrasto l'effetto drammatico e rendendo il tutto plausibile. Un'ottima sperimentazione.
Film indubbiamente personale e interessante, in particolar modo nel suo svilupparsi in una sorta di terra (cinematografica) di nessuno, protesa tra lo straniamento agito a livello visivo/narrativo e un forte radicamento umanistico che vede crescere il protagonista da "foglio bianco" a fattore del proprio destino romanzesco. Se però l'ambientazione dei rastrellamenti nazisti nella Marsiglia d'oggi intriga quanto la ristrutturazione del voice over, la cattedraticità di Petzold frustra ogni emotività.
Dopo l'occupazione di Parigi, i nazisti stanno invadendo il resto della Francia. A Marsiglia un giovane in fuga, assunta l'identità di uno scrittore suicida, cerca di ottenere un visto per il Messico... I fatti narrati sono avvenuti nel 1940 ma l'ambientazione è spostata ai nostri giorni e questo sfasamento temporale attualizza la precarietà della condizione di profugo/immigrato clandestino. Pur penalizzato da una voce off di natura troppo spiccatamente letteraria, un film originale e ben interpretato, struggente racconto di un amore nato da
un equivoco e vissuto per interposta persona.
MEMORABILE: Il colloquio all'interno del consolato; Il salto nel vuoto dopo aver chiesto una sigaretta
La scelta di Petzold di trasporre la vicenda dal periodo nazista all'attualità è particolare e costituisce la cifra caratteristica del film. Ne cambia anche la luce, dal noir alla solarità di Marsiglia, ma il sapore amarognolo e certe palpitazioni non ne vemgono penalizzate. Rogowski è costantemente sulla scena ma sa interpretare il personaggio di Georg. La Beer non acquisisce tutta quella profondità, le figure secondarie procedono invece tra dettagli più o meno interessanti. Ha un bello stile, come sostanza poteva dare di più.
Una vicenda fondamentalmente sentimentale in cui il tragico pregresso storico è come trasfigurato dall'attualizzazione che il regista ha voluto conferire, sullo sfondo di una Marsiglia ancora franca dal pericolo imminente. Operazione "letteraria" che destabilizza e che necessita di una continua ri-sintonizzazione tra ciò che si vede e ciò che si sente e resa un po' greve dalla voce narrante; funziona di più nella fase di attesa dell'inevitabile che non nell'effettiva sequenza dei fatti (i visti, il repentino cambio di programma). Cast disomogeneo, efficace la prova di Rogowski.
Petzold bissa in bellezza i risultati del film precedente e conferma le qualità del suo cinema che è sempre interessante, personale e mai banale. Straniante lo spostamento nell'attualità dell'occupazione francese, ma è ovviamente cosa voluta e dai chiari significati. Il coinvolgimento è - more solito - a lenta carburazione ma "inesorabile". E ancora una volta l'impatto emotivo cresce col passare dei minuti, nonostante un po' troppa letterarietà, regalando un epilogo beffardo ed efficace. Ottima la prova del cast con un Rogowski che si carica sulle spalle gran parte della pellicola.
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Il film è liberamente tratto dal romanzo "Visto di transito", della scrittrice ebrea tedesca Anna Seghers.
La scrittrice ottenne un visto di espatrio grazie all'intercessione di Thomas Mann, già fuggito in USA, proprio nell'imminenza dell'ingresso a Parigi dei nazisti.
Negli stessi giorni, a Parigi era riparato anche lo scrittore ceco Ernst Weiss. Anche lui aveva chiesto aiuto per poter lasciare la Francia.
Il suo visto era nello stesso plico di quello della Seghers, ma non lo ricevette in tempo.
Convinto che non sarebbe riuscito a partire e disperato, si avvelenò lo stesso giorno (il 14 giugno 1940) in cui i tedeschi entravano in città. Morì il giorno successivo, dopo una notte di agonia.
I due si conoscevano e la vicenda segnò profondamente la scrittrice, che cercò di raccontare e forse esorcizzare i fatti nel suo romanzo.
Ad oggi Weiss, amico di Franz Kafka e Joseph Roth, rimane uno scrittore poco noto fuori dai paesi di lingua tedesca.
DiscussioneRaremirko • 6/03/21 18:29 Call center Davinotti - 3862 interventi
Una non facilissima visione, con riusciti momenti di suspence, coordinate spaziotemporali non chiarissime, una voce off che trasmette l'impressione di trovarsi per davvero dentro un libro, attori ok ed un'atmosfera inquietante.
Lento ma non propriamente noioso, sostenuto da un buon script, un lungometraggio valido ma non del tutto riuscito.