Debutto cinematografico del grande Jacques Tati, clown, mimo, dal fisico alla Pippo e l'aria stralunata, uno dei grandi poeti della comicità. Qui è uno zelante postino che, in bici, cerca di espletare le sue consegne mentre in paese si prepara la festa, ispirandosi a un cinegiornale sulle poste americane. Tati inaugura anche il suo personalissimo approccio al sonoro: si sentono i rumori, ma nessuno (men che meno lui) parla, almeno in modo comprensibile. C'è Paul Frankeur, indimenticato commensale bunueliano
Primo lungometraggio di Tati, che riesce a divertire con gag fulminanti anche a 60 anni dalla sua realizzazione pur avendo inevitabilmente anche dei momenti meno incisivi. Pur essendo un film sonoro è strutturato come una comica muta, essendo pressochè incomprensibile, oltre che non troppo funzionale alla storia, il parlato. La trama è semplice: si narrano le peripezie di un postino che, ispirandosi (e incitato dai paesani) ad un documentario sui postini americani cerca di consegnare la posta più velocemente possibile, con risultati esilaranti.
Prim’ancora di incarnarsi in Hulot, Tati aveva già una concezione asfittica dello humour basata sullo sfruttamento della dialettica degli opposti - tradizione e progresso, Francia e America - reiterata fino allo sfinimento. La chiosa della vecchina del paese alle azioni dei personaggi è semplicemente stucchevole; le gag, mutuate dal burlesque, non hanno davvero nulla di cinematografico. Il colorito ritratto della provincia rurale invece è coreografato con gusto e vivacità, ma non basta definire uno scenario se mancano azioni significative a sostanziarlo. Fatuo.
Mentre il paese dsi prepara alla grande festa, un postino tutto particolare consegna la posta incurante dei ripetuti danni che riesce a combinare. La gag sono divertentissime (anche se ci si basa su ciò che si riesce a vedere, perché dall'audio non si capisce molto) e Tatì mostra un discreto istrionismo nel passare da divertente a irritante. Non male.
Prima ancora che entri in scena Tati, personaggio quasi da scemo del villaggio, ma che con la semplicità e genuinità priva di qualsiasi malizia riesce ad essere vincente, entra in scena una, direi, commovente poesia, che poi non lascerà più il film fino all'ultima poetico-patriottica immagine. Quelle di Tati non sono gag, anche perché non si possono contare, è un modo di farci vedere la realtà, è la vita, è un'umanità che Tati riesce a farci amare divertendoci. Una visione profondamente francese e risente della grandeur, unico neo nel capolavoro.
Primo lungometraggio del grande Jacques Tati, personaggio divertente già nell'aspetto e nel modo burlesco di camminare. In un villaggio rurale della Francia del dopoguerra, in una giornata di festa, viene proiettato in un cinema-tenda un film americano con cinegiornale in cui è mostrata la consegna della posta in USA, dunque Tati (postino del paese) mette in pratica con esilaranti situazioni pochadistiche la consegna della posta espressa "all'americana". Film che rende evidente lo scontro tra sogno americano e cultura europea.
Il giorno di festa sta arrivando a “sconvolgere” la vita di un piccolo paesino della provincia francese, specie quella di un postino che dopo aver visto un cinegiornale, vuole lavorare all’americana. Primo film di Tatì in cui c’è già tutta la sua poetica ed il suo cinema con pregi (per chi lo ama) e difetti (per chi lo detesta). C’è lo soprattutto scontro tra vecchio e nuovo quin incarnato rispettivamente da Francia e America. Il meglio è l’orchestrazione delle gag che sono molto curate ed all’epoca dovevano far divertire non poco.
L'esordio di Tati nel lungometraggio è un film sonoro con il passo della comica muta in cui la gestualità dei personaggi conta più dei dialoghi. Se fosse un libro, questa operina stravagante sarebbe un volumetto parte della serie "Where's Wally?" e risulterebbbe il più facile da risolvere: tra la folla di figurine che lo popolano, il nostro Wally qui ha la sagoma allampanata e la goffa eleganza di Tati, postino che sfreccia con la sua bicicletta in un paesino vestito a festa. Non tutto fila alla perfezione ma il talento comico/malinconico è già cristallino.
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Tati girò il film facendo riprese parallele con una cinepresa con pellicola a colori e una con pellicola b&n (quest'ultima come copia di "backup", nelle intenzioni del regista il film doveva essere a colori). Purtroppo il laboratorio non riuscì a sviluppare la versione a colori, perchè si trattava di un processo sperimentale per l'epoca. Così il film uscì in bianco e nero. Negli anni '60 fu tentata la "colorizzazione" con risultati che lasciarono insoddisfatto il regista. Nel 1994 però (con Tati oramai mancato da anni) ne venne rielaborata una versione colorizzata a computer per ripristinare gli intenti del regista. Il dvd in commercio riporta sia la versione originale b&n che quella a colori.
Aggiunge Daniela: Per girare il suo film, Tati decise di non utilizzare il già rodato Technicolorma si affidò al Thomsoncolor, un sistema basato sul trattamento additivo dei colori che richiedeva lenti particolari. Questo procedimento, allora sperimentale, avrebbe dovuto in teoria garantire risultati migliori ma presentava vari problemi di ordine tecnico di sviluppo e tiraggio delle copie che si rivelarono allora insormontabili. Dopo questo falimento, In campo cinematografico il Thomsoncolor venne praticamente abbandonato. Fonte (francese) qui.
Per girare il suo film, Tati decise di non utilizzare il già rodato Technicolorma si affidò al Thomsoncolor, un sistema basato sul trattamento additivo dei colori che richiedeva lenti particolari. Questo procedimento, allora sperimentale, avrebbe dovuto in teoria garantire risultati migliori ma presentava vari problemi di ordine tecnico di sviluppo e tiraggio delle copie che si rivelarono allora insormontabili. Dopo questo falimento, In campo cinematografico il Thomsoncolor venne praticamente abbandonato. Fonte (francese) qui.
Grazie mille per l'integrazione Dani. Davvero molto interessante: nulla sapevo del Thomsoncolor.
DiscussioneZender • 12/09/22 16:24 Capo scrivano - 47813 interventi